“Immagino che ti rompa un po’ le palle giusto?”, “No tranquillo mi avevano detto che avresti chiamato” “Sei in pausa pranzo vero? Ti rubo giusto qualche minuto” “Vai tranquillo”.
Timore. Era questo il sentimento che ho provato dal momento in cui mi è stata confermata (ma anche quando era stata decisa) l’intervista a Edda. Stefano “Edda” Rampoldi è stato, assieme ai Ritmo Tribale, uno dei protagonisti del rock italiano di inizio anni 90, uno bravo e rispettato. Ma il timore derivava anche dal gran parlare che se ne era fatto in questi mesi, per tutta la storia che questo ragazzo “quasi 50enne” si portava appresso. Il timore di fare un’intervista di merda, per dirla senza mezzi termini.
Il rischio di fermarsi troppo sulla vita, quella vita che da quel lontano ‘96 lo ha visto prima scomparire per abbracciare la droga come nuova dea e poi in comunità fino a poco tempo fa, e troppo poco sulla musica. Un timore dovuto anche da una forte empatia provata verso la sua musica, i suoi testi, la sua voce che spazza via tutto: roca, sbilenca, assolutamente affascinante.
“Semper biot” è uno di quei dischi che forse ha bisogno di qualche ascolto in più per essere capito a pieno, per abituarsi a quel cantato a volte un po’ strascinato, a testi che a volte procedono per suggestioni: “quando faccio i testi e mi viene una melodia, apro un libro a caso e cerco delle parole poi compongo un testo”. Milano, racconto della città che gli dà un tetto e un lavoro ma che forse lo guardava di sbieco in quegli “anni bui”, Scama scama scamarcioooo ti entra come una lama nel cuore, il dolore di Io e te “Tu vieni solo per uccidere/Ammazzami finiscimi/Io e te io e te”, la durezza mistica di Amare te, la poeticissima Organza, il testamento musicale di Semper biot, giusto per citare solo qualche canzone di questo album intenso e poetico.
Semper biot, però, che è il disco dell’Edda di qualche anno fa, diverso probabilmente da quello che oggi pubblicherebbe, che sarebbe con un po’ più di “rumore, un po’ più tirato, suonato”, per dirla in parole povere. Quindi ci sarà un altro album? Non doveva essere l’unico? “L’appetito vien mangiando” dice sorridendo, quindi perché no! E poi la Santacroce, il rapporto col pubblico, l’Inghilterra “passando per l’India però”, l’amicizia e tanto altro in questa chiacchierata.
Questo è quello che n’è uscito fuori. Non me ne vogliate!
Ormai lo sanno anche le pietre, ma ci racconti brevemente come sei arrivato a “Semper Biot”?
Nasce che ho conosciuto Walter Somà che è coautore dei pezzi, poi ho conosciuto Andrea Rabuffetti che è il musicista con cui ho suonato e con cui sto suonando in concerto, mi sono trovato in tasca quelle canzoni di Walter che a me piacevano molto, ci ho messo sopra un po’ anche io le mani e… Non me l’aspettavo, non era nei miei programmi fare un disco, non avevo assolutamente preso in considerazione l’idea, alla fine non è che è stato meditato, però nel giro di due tre anni a furia di suonarli questi pezzi abbiamo detto ‘ma sì proviamoci!’ e poi le cose un po’ sono venute da sole
Quando e in quanto tempo sono state scritte queste canzoni?
Beh ormai sono un po’ vecchiotte, di due tre anni fa, insomma. Adesso non mi ricordo neanche più come era la situazione, ricordo che ogni sabato e domenica suonavo con Walter – questo succedeva due o tre anni fa – mmm non ricordo neanche più…
Ti ho visto molto timido dalla Daria Bignardi (era ospite dell’Era Glaciale su Rai Due, ndd), sebbene, paradossalmente, al centro dell’album ci sia tu (nei testi) e la tua voce mentre gli arrangiamenti sono, appunto, molto nudi!
Sai non me l’aspettavo della Bignardi. Beh i testi non è che parlino propriamente di me, diciamo che poi mi ci trovo avendoli scritti, ma gli arrangiamenti li ha fatti Takedo (Gohara, che ha curato la produzione artistica ndr). Io non sapevo che disco fare, sapevo che non volevo una band, anche perché non ce l’avevo, ma non ce l’avevo anche perché non mi andava di suonare quasi con nessuno, mi sarei sentito un po’ troppo artificiale, invece così… – anche se poi nel disco ha suonato altra gente – quando ho registrato ci stavamo soltanto noi Walter, Andrea e io.
Infatti leggevo che ai tempi dei Ritmo Tribale portavi così le canzoni e gli altri le arrangiavano…
Esatto, esatto… adesso non lo rifarei più un disco così, semmai dovessi fare un altro disco non sarebbe più così…
In che senso… cioé hai idea di farne un altro? Come sarebbe allora?
Il pensiero c’è, perché i testi che non sono entrati in questo disco ci sono e potrebbero andare su un altro, ora non so se lo faremo se ci sarà la possibilità e tutto il resto, però appunto già pensando al fatto di, eventualmente, farne un altro, vorrei che non suonasse come questo, anche se questo qui va benissimo per come è stato, era quello che volevo, però magari farne un altro uguale non avrebbe senso…
E come sarebbe, come suonerebbe?
Beh guarda non lo so, veramente ancora ci sto pensando. Questo che ho fatto sapevo che l’avrei fatto così perché alla fine i pezzi nascono così, adesso, vabbè, suono con un musicista napoletano che si chiama Sebastiano De Gennaro, che è un musicista che suona anche con Pacifico e con lui mi sono trovato benissimo e chissà che non riuscirà lui a inventare qualcosa.
Ok annotiamo questa cosa, questa speranza di un prossimo disco, dato che si pensava che avrebbe potuto essere l’ultimo…
Beh l’appetito vien mangiando, comunque quest’ultimo è venuto così, non saprei dire, veramente i pezzi nascono così quasi senza pensarci, però se proprio dovessi fare l’opera completa mi piacerebbe anche fare… beh due facce della stessa medaglia: da una parte c’è questo versante un po’ intimistico, però mi piace anche fare baccano, non tanto rumore però un po’ più tirato, suonato insomma.
Che effetto ti ha fatto tornare davanti a un pubblico?
Beh guarda il discorso è che per vivere io faccio un altro lavoro, faccio ponteggi, e quando sono lì che sto lavorando e ho un concerto la sera mi dico: ‘mamma mia, devo andare a suonare, che palle!, non ha senso, vorrei tornare a casa, guardare la televisione’, però al tempo stesso mi viene voglia di… beh arrivati a un certo punto nasce quasi l’esigenza. Prima suonare era un lavoro, ora è quasi un’esigenza, come dire: ‘lo faccio perché lo sento veramente’. A volte devo un po’ sforzarmi per sentirla la cosa eh!, però il fatto di lavorare, di fare fatica… certo mi abbatte un po’ – perché psicologicamente mi abbatte questo tipo di lavoro – ma alla fine mi carica, c’è un senso di rivalsa, quasi a dire che ‘No! Non posso farmi schiacciare in questa maniera’ e questo va bene per i live. Da una parte quindi non penso ai concerti perché la giornata è così piena di altre cose che non riesco manco a pensare che faccio il concerto la sera, però quando poi mi trovo a farlo penso a quello che è successo durante la giornata, penso a quello che è la mia vita e mi viene fuori, come dire… una vendetta, e suono non tanto pensando a quello che farò, ma suono quasi fosse uno sfogo, per scaricarmi. Io sono una persona abbastanza emotiva e sensibile, quindi il trovarmi di fronte alla gente mi fa un po’ paura, però avendo quella carica di cui ti parlavo prima, riesco anche ad affrontarla
Pensi mai di poter tornare a fare solo quello, vivere di musica, lo vorresti?
No è come se tu domani mi dicessi che vengo a vivere a Parigi (prima di cominciare l’intervista si è parlato di Parigi, città in cui vivo ndr) – se ne pa, potrebbe succedere, ma credo sia molto difficile…
… ma perché tui non vuoi o perché, ok, in generale è molto difficile vivere di musica etc…
Credo che sia al di sopra delle mie possibilità, non credo di essere un musicista che può permettersi di esserlo a tempo pieno, cioè non ho neanche le qualità per esserlo.
Insomma se proprio te la dessero questa opportunità, però, la coglieresti…
Certo, è un privilegio. Se pensassi che veramente è una cosa imprescindibile la mia musica, allora mi sentirei quasi investito di un dovere nei confronti degli altri. Diciamo che faccio bene a fare tutte e due le cose, mi sento più a posto con la coscienza.
Senti a un certo punto canti “Si può sempre stare peggio nella vita/Ma a volte vorrei di più”. Oggi vorresti di più? Cosa sarebbe questo “di più”?
Beh vorrei di più nel senso che adesso che mi avvicino a essere una persona molto matura – ho quasi 50 anni – ho vissuto un po’ di anni, ho visto come è la vita, da una parte posso ritenermi una persona fortunata… c’è gente che sta molto peggio di me, ma è anche vero che avrebbe potuto essere molto diversa la cosa, molto più interessante, però insomma, al meglio non c’è mai fine e manco al peggio c’è mai fine: non sono grandi verità, è roba scontata quello che ti sto dicendo…
Vabbè diciamo che gentilezza vuole che alla mia domanda ti tocca comunque rispondere… Piuttosto, come avete lavorato tu e la Santacroce sul testo di “Io e te”?
Mah guarda lì è stata una sua gentilezza che ha fatto, perché io quando faccio i testi e mi viene una melodia, apro un libro a caso e cerco delle parole poi compongo un testo – così ti ho anche svelato come faccio i testi! (sorride ndr). Insomma avevo questo libro della Santacroce, che poi non era mio ma di Walter (Somà ndr), ed erano talmente precise le parole, le frasi, ci stava dentro quasi tutta la frase e allora le ho chiesto se gentilmente mi concedeva i diritti e così ha cofirmato lei il testo.
Ok, quindi non c’è stata una collaborazione materiale nella scrittura del testo!
No, no non la conosco di persona…
Senti ma invece questa Inghilterra che sembra una terra promessa, vedi Milano e Semper biot. Io avreo detto piuttosto l’India…
Beh sì, alla fine poi l’Inghilterra e l’India sarebbero anche legate in un certo senso, per la questione coloniale. È un giro molto lungo, perché io per andare in India passo per l’Inghilterra, mentalmente parlando: sono collegate nella mia mente in questa maniera.
Mah, l’Inghilterra è quello che forse – io non ti conosco, ma per quello che ci siamo detti – è per te Parigi. È un tormentone della mia vita che va avanti praticamente da 30 anni, praticamente mi sento come se volessi andare via, non vorrei vivere in Italia, non vorrei passare tutta la mia esistenza in Italia. L’Inghilterra mi attira, l’India, invece, è improponibile, perché devi avere i soldi per viverci.
Chissà che in futuro non possa accadere…
Beh diciamo che come sogno ce l’ho, più il tempo passa, però più diventa un’illusione, diciamo che alla fine potrebbe ancora essere realizzabile.
Hai detto che per un periodo non hai ascoltato musica… come l’hai trovata al tuo “ritorno”?
Guarda, non ascoltavo musica e adesso che la riascolto ascolto cose vecchie, non riesco a essere molto aggiornato anche perché non ho tempo di ascoltarla; vivo di rendita, di quelli che sono stati i miei ascolti; in pratica ho ascoltato musica per quasi 30 anni e adesso sono quasi 15 anni che non è che ne ascolto quanto ne ascoltavo prima. Ho un bagaglio di melodie che partono dall’infanzia e arrivano fino ai 30 anni. Adesso non saprei neanche dirti, forse Moltheni, anche se non è proprio una nuova leva, saranno 20 anni che suona. Comunque ci saranno dei gruppi bravi, sono io che sono ignorante (ride ndr).
Ti è capitato di pensare alla musica e di scrivere durante quegli anni di buio?
L’inutilità e il pessimismo che a volte macchiano l’album sembrano arrivare direttamente da lì…
No in quel periodo buio musica niente, anzi dopo che ne sono uscito pensavo di aver perso del tempo a suonare. Ho passato 15 anni a suonare, solo a suonare, e mi dicevo che avevo buttato via il mio tempo, adesso, invece, che è uscito il disco posso dire che… è una vita un po’ strana quella dell’artista, ammesso che tu lo sia e io non credo di esserlo. Diciamo che in quel periodo era l’ultimo dei miei pensieri e non mi dava niente neanche l’ascolto della musica; oltre a non farla non mi interessava manco ascoltarla, mi sembrava una cosa inutile.
Sempre nella famosa intervista dalla Bignardi hai affermato che trovi l’amore un sentimento pesante e lo hai riferito in particolar alla famiglia e ai figli, vale lo stesso per gli amici?
L’amicizia è qualcosa che ti aiuta un po’ di più, è più sopportabile, più onesta. Quello con gli amici è un rapporto più facile da gestire; è più onesta, meno ipocrita. Per me è più facile essere un amico sincero che un amante, è più facile gestire l’amicizia che l’amore.
Ti dà fastidio il fatto che sembra che non si possa slegare il parlare della tua vita dall’album? Cioè ti dà fastidio questa “curiosità” quasi morbosa a volte?
Più che altro la capisco, magari a qualcuno interessa capire che è successo. Fastidio no, anche perché io non ho segreti, quello che faccio lo dico, anche se non sono cose belle… non mi dà fastidio, diciamo che forse la ripetizione, il fatto che mi chiedono le stesse cose (ride ndr)… Non mi imbarazza quello che è successo, certo non ne vado fiero, ma alcune cose vanno dette, raccontate!
Autore: Francesco Raiola
www.myspace.com/stefanoeddarampoldi