Ne sono successe di cose negli ultimi due anni, eh Adam? Matrimonio. Divorzio. Crisi esistenziale. Dieci-quindici chili in più. Dieci-quindici chili in meno. Quando poi arrivano le quattordici tracce di Minor love a fare il punto della situazione… le recensioni, Adam, le hai lette? Un disco intimista, dolce, disilluso, maturo…e via dicendo.
Il concerto di Milano al Magnolia è stata la risposta migliore che potevi dare a tutta questa gran massa di discorsi fetish sulla tua vita privata, che già presagivano una performance stile Nirvana Unplugged in New York, e magari suicidio finale annesso.
La chiave di violino della serata è stata senza dubbio la canzone di apertura: Cigarette burns forever, che da dolcissima ballata che era nel disco, diventa elettrica e distorta, immediatamente seguita da Gemstones, uno dei primi singoli di Adam Green, che non si preoccupa affatto di costruire una scaletta ‘vendibile’ ai nuovi fan. Chi ama la sua musica, ama prima di tutto Adam Green come intrattenitore, come gag-man rock and roll, ballerino, cantastorie. Non importa quanto sia recente o conosciuta una canzone. E allora via con i pezzi del nuovo album, ma anche con le vecchie glorie di Friends of mine come Princes bed o Jessica Simpson, alla fine della quale Adam attacca una personalissima interpretazione soul. E non sta un attimo fermo: sul palco fa fuori una dopo l’altra lattine di birra e bottiglie di super alcolici, elogia lo Jegermaister e poi prende una rincorsa per lanciarsi in stage diving sul pubblico, che un po’ lo sostiene un po’ gli fa il solletico. E bacia tutte le ragazze che gli capitano a tiro.
Adam Green su quel palco era Julian Casablancas imitato da Charlie Chaplin. Dimentichiamoci le sue vecchie sembianze da Elvis e iniziamo a pensarlo come un James Dean dei giorni nostri, se mai avesse avuto voglia di recitare con Ben Stiller, con una giacca di pelle borchiata che cade a pezzi ad ogni tentativo di gettarsi tra la folla. E dimentichiamo anche l’atmosfera un po’ swing-gospel che lo accompagnava nel tour di Sixes and Sevens, con il triumvirato di big mamas a fargli da coriste. Adam è supportato da una band folk strappata appena alle giovani marmotte, i Jukebox the Ghost, che oltre ad aver aperto degnamente lo show, intervengono anche in qualche canzone. Dopo Give them a token il cantante dei Jukebox si avvicina ad Adam con un cellulare. Lui legge ad alta voce: “non c’è niente di sballiato a scopare una ragazza senza gambe”. Poi partono gli accordi di No legs, una strofa in falsetto seguita dai nuovi coristi che lo seguono da Philadelphia per tutto il tour europeo. Dopo le immancabili e scatenate Bluebirds e Dance with me, il Verde abbraccia la chitarra acustica. E allora la scaletta diventa del pubblico…qualcuno si ricorda della vecchissima Country Road, e Adam l’accenna, trasformandosi in Bob Dylan per il breve lasso di tempo impiegato a cantare una splendida Boss Inside. Il concerto si chiude su Baby’s gonna die, potente, virtuosa, violenta, voluttuosa e quanto più se ne può dire non sarebbe mai abbastanza. Signore e signori, Adam Green. Adam Green. Adam Green. Non c’è da aggiungere. Non ha senso. Meglio chiudersi in casa fino al suo prossimo concerto. Sperando ogni volta che siano solo brutte dicerie le voci che di volta in volta lo definiscono più maturo.
Autore: Olga Campofreda
www.adamgreen.net/