Un periodo quanto mai prolifico per gli Zu, ideatori e co-realizzatori del progetto Ardecore, autori con Fred Lonberg-Holm del mini-cd pubblicato dalla Xeng “The way of the animal powers”, Massimo Pupillo in trio con Gianni Gebbia e Lukas Ligeti per “The Williamsburg sonatas” su Wallace, la comparsata di Luca Mai nel debutto dei Neo e sicuramente altro ancora che adesso mi sto dimenticando. Ultimo impegno in studio del trio romano, proprio mentre sta partendo il tour promozionale degli Ardecore, è la collaborazione con Nobukazu Takemura per lavorare ad un disco che vedrà la luce nell’aprile 2006, pare sempre su Xeng. Un gruppo costantemente on-the road come gli Zu ha pensato bene di mettere a punto tale materiale presentandolo in anteprima al pubblico italiano in alcune date esclusive che li ha visti esibirsi fianco a fianco con il maestro giapponese. L’appuntamento fiorentino coincide con l’apertura della stagione della Sala Vanni, la quale nonostante il mercoledì sera piovigginoso si presenta al gran completo quando Nobukazu Takemura fa il suo solitario ingresso in scena. Occupata una sedia alla destra del palco davanti al suo laptop e sistematasi sulle gambe una chitarra dalla quale di tanto in tanto estrarrà note da processare in presa diretta, l’artista nipponico inizia a liberare nell’aria battiti cristallini che rapidamente si tramutano in scaglie rumoristiche e vortici sinusoidali. E’ a questo punto che gli Zu si materializzano dietro i loro strumenti, dapprima incastrando sulle partiture elettroniche singhiozzi di sax, schiaffi percussivi e fischi emanati dal jack del basso, poi liberando tutta la tensione fin lì trattenuta attraverso le bordate esplosive e le invenzioni ritmiche che fanno parte del loro consueto bagaglio avant-jazz-core. La parte centrale del set è totalmente dominata dalla simbiosi tra i tre Zu, musicisti capaci come pochi altri al giorno d’oggi di sfruttare oltre ogni limite le potenzialità dei loro strumenti (le corde del basso sodomizzate da Massimo Pupillo con un cacciavite, la batteria martoriata dalla foga di Jacopo Battaglia, le sillabe sussurrate da Luca Mai nel suo sax), e la sensazione immediata è che il contributo di Nobukazu Takemura, rigido ed impassibile nella sua posa davanti allo schermo, sia tutto sommato marginale. Ma è nello svolgersi dell’intero concerto che si giunge ad apprezzare il disegno complessivo, dietro al quale risulta senz’altro decisiva la mano del manipolatore giapponese: brano dopo brano le improvvise esplosioni diventano tartagliamenti nervosi e l’incedere tellurico decelera in scatti e controllate ripartenze fino a decomporsi in squame che si raccolgono intorno alle frequenze digitali come chiodi impazziti intorno ad una calamita. Un percorso circolare che riconduce l’ascoltatore lì dove il concerto era iniziato – note in libertà su un pentagramma elettronico – e che molto probabilmente decreta il punto più alto finora mai raggiunto dagli Zu nella loro attività demiurgica di creazione e demolizione del suono.
Autore: Guido Gambacorta
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