I Manila Hemp hanno da poco pubblicato il loro esordio per la Elevator, dopo aver registrato il lavoro al Red House di Senigallia, con un produttore d’eccezione: Steve Albini. I teramani non contenti hanno addirittura masterizzato il materiale ai mitici Abbey Road studios. Il gruppo, formato da Andrea Captano alla voce e alla chitarra, Valerio Di Loreto alla voce, Vincenzo Core alla chitarra, al sitar e al charango, Andrea Marà alla chitarra, Alessandro Marini al basso, Francesco Amadio alla batteria e alle percussioni, si esprime con un pop-rock di ottima fattura, contato in italiano, con riferimenti al grunge elettro-acustico di Pearl Jam ed Alice In Chains, ma con una struttura dei brani molto complessa e ben articolata, che indica la continua ricerca sonora ed il buon livello di professionalità dei sei musicisti. Quella che segue è la sintesi di una piacevole chiacchierata avuta con uno dei tre chitarristi, Core, che è stato molto disponibile a parlare delle dinamiche del gruppo e di come hanno lavorato con il grande Steve Albini.
Da quanto tempo vi siete formati?
Il primo nucleo è del 2001, da allora sono cambiati diversi componenti ed il nucleo attuale è insieme dal 2005.
Quale genere suonate e perchè?
Il nostro è un rock in parte ispirato al grunge, grazie alla passione del cantante per i gruppi degli anni ’90 che provenivano da Seattle, ma poi è rimasto affascinato anche da tutto il rock italiano sempre dello scorso decennio. In fase compositiva, in genere, il cantante viene con brani composti solo con voce e chitarra, ma poi in fase di arrangiamento arrivano le altre influenze. Considera che nel gruppo abbiamo due chitarre elettriche ed una acustica, grazie alle quali si innestano anche le altre influenze, che possono essere il rock progressive, anche se meno palesi, perché la struttura resta la forma-canzone.
Qual è il vostro background musicale e quali sono state le altre esperienze avute prima del gruppo attuale?
Io, personalmente, mi occupo anche di sonorizzazioni, lavoro in altri progetti, anche per esempio di world music, e sono aperto a tutta la musica in genere, dall’elettronica di Stockhausen al jazz, ho moltissime influenze. Il batterista ed il bassista, ma anch’io, sono appassionati di Bealtes, del garage-beat dei Nuggets e di rock psichedelico come per esempio i Jefferson Airplane. Tutto il gruppo poi condivide la passione per i King Krimson ed il cantante è crescituo, come dicevo prima, con il rock italiano dei ’90, quindi Litfiba, Timoria, CCCP. L’unica esperienza rilevante prima del Manila Hemp l’ha avuta il cantante, che militava negli Indian Soul. Noi altri eravamo coinvolti in varie cover band.
Come presenteresti il vostro recente lavoro ad un neofita di musica?
Il nostro tipo di musica non è legato ad un solo genere. Oggi ti buttano dentro un’etichetta e noi rifiutiamo questa tendenza. Quello che cerchiamo è una legittimazione dell’umanità, dell’unità, perché adesso ti danno il piatto già bello e pronto, ti danno un genere e un’identità cui aderire, per esempio se ritengono che suoni emo, ti inseriscono in quel calderone di punti di riferimento e pretendono di affibbiarti un’identità che rispetti determinati canoni. Noi non siamo vittime di questa situazione e riteniamo che non bisogna sentirsi sempre nell’emergenza, pensiamo che non sia umano, questa cosa genera solo frustrazione, pensiamo che si debba vivere con un approccio più tranquillo ed è quello che proviamo a trasmettere anche con la nostra musica.
Siete soddisfatti del lavoro fatto in studio?
La tranquillità di cui parlavo è stato ciò che abbiamo cercato di vivere anche nella fase di produzione del disco ed è anche ciò che abbiamo riscontrato nello stesso Steve Albini. Steve, infatti, è un tipo che nonostante la sua notevolissima esperienza e la sua grande forza, questa stessa forza non la impone. In studio parla pochissimo, è sempre molto sereno e disponibile. È molto bravo, perché non ti influenza, lui prende il materiale timbrico. Con noi ha cercato di capire l’emozione che volevamo trasmettere e poi con la sua impostazione ha filtrato il nostro messaggio. La nostra sonorità è stata dunque il risultato delle nostre personalità. Poi considera che oggi tutti i produttori registrano i dischi dei nuovi gruppi a volume altissimo, ma in questo modo si perdono i dettagli. Albini, invece, rispetta il volume del gruppo, quindi se un gruppo suona piano, lui registra piano, se suona alto, suona alto, in questo modo mantiene le dinamiche esecutive e quindi il criterio della naturalezza. Non a caso quindi la registrazione di questo disco è stata quasi tutta in presa diretta, con un approccio live. Steve non ci ha fatto mai registrare un brano più di tre o quattro volte, addirittura per un brano è stata buona la prima. Quasi tutti gli strumenti sono stati registrati dal vivo e solo le voci sono state sovraincise. Questo perché per lui è importante la naturalezza, come dicevo prima, per non far perdere la freschezza che per lui si perderebbe se un pezzo fosse suonato troppe volte.
Che tipo di gestazione ha avuto il disco?
Partivamo quasi sempre da una bozza voce – chitarra, più raramente da un riff e poi gli arrangiamenti arrivavano tutti insieme. Una volta fatti gli arrangiamenti partivamo con un gran lavoro di pulizia. Prima di entrare in studio, infatti, abbiamo fatto un gran lavoro di selezione degli arrangiamenti, tagliandoli e ridefinendoli. A questo proposito è opportuno spiegare il significato di Manila Hemp che è un tipo di canapa, quindi un tessuto complesso, dato che da un lato è grezzo e dall’altro è un prodotto ben lavorato. Allo stesso modo noi cerchiamo di fare un buon lavoro, affinché il risultato sia diretto. Prima di entrare in studio abbiamo due mesi molto intensi, lavorando alla pre-produzione per due volte alla settimana, poi David Lenci è venuto a sentirci un paio di volte, ci ha dato qualche suggerimento e quindi siamo entrati al Red House per registrare con Steve.
Avete già pronti dei nuovi brani?
Si, ne abbiamo già pronti diversi, soltanto che adesso dobbiamo anche pompare l’esordio. Nel 2008 abbiamo fatto una ventina di date nelle quali abbiamo venduto diverse centinaia di copie.
Perché vi siete affidati ad un’etichetta indipendente?
Sono cose molto naturali, è stato Tito dei Tito and Brainsuckers ad avercelo suggerito e poi ci è piaciuta molto la scena che si è creta attorno all’etichetta Elevator e al Red House.
Come vedete il futuro del mercato discografico?
Per me è molto legato ai mezzi di comunicazione. Non ho ancora ben capito in che direzione si stia evolvendo, perché da un lato abbiamo le grandi case discografiche che sono dei dinosauri, che spendono milioni di euro per produrre e promuovere i grandi nomi, nonostante la crisi di vendite e dall’altro lato ci sono le piccole etichette, che nonostante tutto sopravvivono, anche grazie a myspace e facebook. Per fortuna che ci sono centri di aggregazione come lo stesso Red House. È molto importante che ci siano queste realtà, attorno alle quali ruotano gruppi che suonano generi diversi. A Pescara, per esempio, c’è un locale, il Wake Up, il cui direttore artistico è Umberto Palazzo, che ha reso questo punto un cerno di aggregazione attorno al quale ruotano tutti i gruppi rock abruzzesi.Autore: Vittorio Lannutti
www.myspace.com/manilahemp1