“It’s just a bad movie, where there’s no crying”, sono i versi con cui si apre “The Stage names”, nuova fatica di una delle più interessanti indie-band americane degli ultimi anni, gli Okkervil River di Will Sheff. In verità di “lacrime” ce ne sono poche, in queste canzoni. Ma ciò nonostante – parafrasando i versi citati prima – non si tratta assolutamente di un “cattivo disco”. Ci sono insospettabili raggi di sole ad illuminare un lavoro in cui vengono un po’ messi da parte i toni cupi e introspettivi (predominanti nel precedente “Black Sheep Boy”, scuro già dalla copertina), e le tensioni emotive drammaticamente espresse dalla voce quasi singhiozzante di Sheff. The Stage Names è un disco più equilibrato ed accessibile, con melodie pop-rock memorabili (“Unless it’s kicks”), calore soul (“A hand to take hold of the scene”), e – ovviamente – ballate malinconiche, come “Savannah Smiles” (con un bel xilofono in primo piano), la drammatica “Title tracks”, o la bellissima “John Allyn Smiths”, che tutt’auntratto “sfocia” imprevedibilmente in “Sloop John B”.
Meno entusiasmanti pezzi come “Plus Ones” e “A girl in port”, episodi folk rock senza infamia e senza lode, che evidenziano il lato più “piacione” e “normalizzato” dei “nuovi” Okkervil River, e il loro desiderio di leggerezza (esplicitamente espresso in questo disco), che speriamo solo non li trasformi lentamente nell’ennesima band indipendente che, nel voler “strizzare l’occhio” al “mainstream”, finisce per ridursi in qualcosa “né carne né pesce”. Per ora restano abbondantemente sopra la sufficienza. Chi vivrà vedrà…
Autore: Daniele Lama