Grande ritorno sul palco della Sala Tre. In occasione di una delle numerosissime serata di questa nuova rassegna curata da Freak-Out e ArtBeat, si sono esibiti (dopo quasi un anno di assenza dal club napoletano) gli Zen Circus.
Il trio punk-rock-folk-cantautor-gipsy-qualsiasi-altro-genere pisano ha riscaldato una gelida e ventosa serata di ottobre inoltrato, riportando la temperatura ai livelli di una piena estate.
In apertura Teresa Capuano, in arte Katres, catanese, che si presenta da sola, fatta eccezione per una bellissima Yamaha acustica: propone un pop-cantautoriale di impostazione classica ma con buone aperture ad un certo tipo di sperimentazione, forte di una spiccata vocalità e di un ottimo rapporto tra etica ed estetica. Testi che, almeno al primo ascolto, si rifanno ad esperienze personali ed una strizzata d’occhio alla “cantantessa” sua conterranea. D
ue modi di fare piuttosto simili ma, al contempo, comunque originali in quanto proprio dall’universo personale prendono linfa. In definitiva una buona apertura, forse non troppo organica con la seconda parte della serata, ma sicuramente di un ottimo livello.
Poco dopo mezzanotte, il palco è solo di Appino, Ufo e Karim, Il circo Zen.
Tra un apertura a suon di Inno di Mameli, qualche urlo ed un ingresso trionfale, i tre attaccano subito con il meglio, senza lasciar tempo per pensare a qualsiasi altra cosa: via di Gente di Merda, dal loro ultimo album intitolato Andate tutti a fanculo, nonché inserita nella raccolta “Il paese è reale” prodotta da Agnelli & Co., I bambini sono pazzi, Colombia. Attimo (ipotetico) di tregua con Vent’anni, durante il quale la folla esplode ed il primo vero sudore inizia a colar giù, fino a We Just Wanna Live, cantata ad una sola voce tra Appino ed i presenti.
Basta il primo arpeggio di Andate tutti a fanculo a dare il “la” al pubblico che, anticipando l’attacco, inizia a cantare prima del tempo e a niente servono gli inviti del circo zen: ormai è un fiume in piena. Bisogna aspettare qualche secondo per ricominciare, prova del grande contatto creatosi tra palco e folla. Giusto il tempo del celeberrimo salto di Karim, e la scaletta (per altro scritta su carta assorbente) continua con Vecchi senza esperienza.
In meno di due minuti, gli ultimi vent’anni di storia d’Italia condensati in un riff roccioso di chitarra ed una voce stracciata e straziante. Storia d’Italia vista dalla periferia, tra mura grige e sottopassaggi, la storia d’Italia che non si legge sui libri, non perché non interessa ma perché (quasi) nessuno ne scrive.
Uno spaccato generazionale che lascia senza fiato. La serata prosegue tra ninnananne punk, egoisti e figli di puttana, per chiudersi con un “quasi-medley” tra una collodiana It’s Paradise e Canzone di Natale, impreziosita dalla lunghissima telefonata finale tra Ufo e Karim, con un Appino steso a terra ad occhi chiusi: si sa già come andrà a a finire, ma questo non diminuisce il divertimento.
“Se stai male, vai all’ospedale”, è urlata all’unisono. Lo spettacolo termina con L’Amorale e Sailing song.
Inutile ribadirlo: pochi gruppi riescono ad offrire qualcosa del genere durante un live. Passione, qualità, contatto, presenza. Quattro aspetti che nei live degli Zen Circus sembrano non mancare mai.
Autore: A. Alfredo Capuano foto di Antonio Siringo
www.myspace.com/thezencircus