Buio in platea e luce tenuissima sull’elegante set acustico allestito sul palco. Protagonista della serata, l’androgino londinese trapiantato a New York, Antony, accompagnato dal quartetto dei Johnsons. Un gioco di luci che si sposa perfettamente con l’atmosfera ricamata dalla musica di questo grandissimo artista. Musica che, nella maggior parte dei casi, è il risultato di storie di vita vissuta, di esperienze, di cultura. Antony ricrea, attraverso la propria musica, sensazioni oscure e sognanti, nate nella New York dandy di Andy Warhol, di Lou Reed e Nico così come nella genialità artistica di artisti gay quali Boy George e Marc Almond, vero mentore del nostro ed apprezzato soprattutto nel suo periodo più oscuro e funereo (“Mother Fist And Her Five Daughters”, 1987). Antony è, indubbiamente, un personaggio bizzarro; alto quasi due metri, corpulento, lunghi capelli nerissimi, eyeliner sotto gli occhi e uno sguardo femminile e timido. Il concerto inizia in sordina con uno dei pezzi più deboli del repertorio: quel ‘My Lady Story’ incredibilmente migliorato dalla voce di Antony, forse più emozionante ed espressiva in sede live. Una perfetta intesa tra i Johnsons ed Antony da vita a ‘You Are My Sister’ mentre ‘Bird Girl’ risulta sognante e romantica. ‘For Today I’m A Boy’ da la possibilità all’artista di mostrare la sua attinenza blues direttamente riconducibile a Otis Redding dei giorni migliori: blues nella testa e nel cuore. I Johnsons, hanno una formazione composta da basso, chitarra acustica, violino e un violoncello (suonato dalla splendida Julie Kent) e, accompagnati dal piano del newyorkese, si lanciano in 10 minuti di incredibile improvvisazione classica, sviluppata sul tema principale di ‘Cripple And Starfish’. Eccezionale. Breve pausa ed Antony ritorna sul palco, incitando tutti i presenti a sostenere con il battito delle mani un pezzo ultimamente composto da lui, ‘Water And Dust’, eseguito “a cappella”. Antony sembrava sinceramente divertito dalla calda partecipazione del pubblico anche se è apparso chiaro il carattere schivo e poco incline all’intrattenimento dell’artista. Si prosegue con ‘Hope There’s Someone‘ (forse il brano più completo e carico di sensazioni) e ‘Soft Black Stars’, dal testo splendido. Chiude questo magnifico concerto, una cover, ‘Candy Says’ di Lou Reed, a conferma del grande rapporto, non solo personale, esistente tra i due. Per chi ancora non era a conoscenza della resa dal vivo di questo eclettico songwriter, una piacevole sorpresa.
Autore: Andrea Belfiore