Una cosa è certa: a Kyle Field non potrebbe fregare di meno. Di sicuro del fatto che la musica che oggi si vende è di tutt’altro genere, e questo, da un certo punto di vista, è un bene. Probabilmente del fatto che mentre canta e/o suona c’è qualcuno che registra, e questo è un male. Almeno, questa è l’impressione – forte – che ho avuto ascoltando sia “Magic Wand” che il precedente “Discover worlds of wonder”. Come di chi si trovi lì per caso, e, uh, qualcuno gli passa una chitarra, e si inizia a cantare in allegria. Certo, mi si potrebbe dire che anche questo atteggiamento un po’ così, sotto le righe, sia da apprezzare, perché non se ne può più di chi se la tira per ogni cazzata; però, ecco, un po’ più di presenza (di “genio”, si direbbe dalle mie parti) non guasterebbe. Che poi il tizio sia, come dire, eccentrico, lo dimostrano i concerti organizzati nei campeggi e nei parchi nazionali, o il CD che contiene pezzi diversi dalla cassetta e dall’LP (a me è capitato il CD, che culo).
Ma a noi interessa la musica, no? Ecco, parliamo di quella. “Magic Wand” è il sesto album del gruppo (o, per meglio dire, del combo, giacchè la formazione cambia di volta in volta e non si sa chi suona cosa), e ribadisce le coordinate artistiche care al fondatore, che, ormai, dovrebbero essere note all’attento lettore: atmosfera al rallentatore e al limite del melodrammatico (in alcuni casi, in realtà, ben al di là, come accade, ad esempio, con ‘Darkened Car’), melodie leggere o anche inesistenti, strumentazione ridotta al minimo (si sa che nei campeggi è difficile portare la batteria, eh), di solito alla sola chitarra. E poi c’è quella voce in falsetto, che costituisce il vero marchio di fabbrica. In giro si legge che richiami addirittura quella di Neil Young; probabilmente è un po’ troppo, però l’effetto, negli episodi riusciti, è assicurato.
Ed infatti, a differenza di quanto accaduto in passato, “Magic Wand” conosce almeno un paio di momenti sopra la media, e neanche di poco. Sono, guarda caso, quelli nei quali l’atmosfera si fa leggermente più sostenuta e alla beneamata acustica si sostituiscono il piano (‘So What?’) o una strumentazione un tocco più ricca (‘Laugh Now’, nella quale si ascolta addirittura un assolo). E allora, il cerchio si chiude: se solo si impegnasse un po’ di più…
Autore: Andrea Romito