Si è conclusa, con il concerto dei Širom dell’8 maggio, presso la Sala Assoli di Napoli, la rassegna di pregio “EPIFONIE i suoni, l’incanto”, organizzata da Wakeupandream e Casa del Contemporaneo.
“Siamo giunti all’ultimo concerto della rassegna, quello che forse più di tutti ne incarna il senso e le intenzioni: proporre musiche avventurose provenienti da varie parti del mondo, intraprendere un viaggio nel suono e nella sua capacità di trasformarsi e trasformare, di aprire finestre sul possibile e di farci spostare altrove pur rimanendo fermi. Esattamente quello che succede ad un concerto dei Širom”, recitava il comunicato stampa; e a ben ascoltare, sentire e finanche vedere, con un coinvolgimento sensoriale ampio, il trio sloveno, composto da Ana Kravanja (violin, viola, ribab, daf, ocarinas, mizmar, balafon, various objects, voice), Iztok Koren (guembri, banjo, three-string banjo, steel drum, bass drum, percussion, balafon, chimes, various objects) e Samo Kutin (hurdy gurdy, tampura brač, lyre, lute, chimes, balafon, frame drum, ocarina, ikitelia, acoustic resonators, various objects, voice), ha restituito al pubblico un flusso di coscienza sonoro che, con un termine a me caro e soventemente usato al cospetto di simili esibizioni e composizioni, ha assunto un valore “metastorico”.
Tre lunghe suite al contempo tangenti e trasversali, pensate, orchestrate e improvvisate hanno retto, come muscolatura esposta, il cuore del concerto, decretandone l’ideale fine, prima che “Maestro Kneading Screams Of Joy” congedasse definitivamente il pubblico da uno spettacolo che si è posto con esatto equilibrio su entrambi i lati della linea di frontiera tracciata tra un happening e un rituale simbolico, tra un viaggio conscio e un viaggio inconscio, tra materialità e spiritualità, tra individuo e collettività, tra artista e pubblico.
Marc Augé ha scritto: “L’ideale di un mondo senza frontiere, per esempio, è sempre apparso agli individui più sinceramente umanisti come l’ideale di un mondo dove sarebbero finalmente abolite tutte le forme di esclusione. Il mondo attuale ci viene spesso presentato come un mondo nel quale le antiche frontiere sono state cancellate … Va rilevato che, quando evochiamo l’ideale di un mondo senza barriere e senza esclusioni, non è del tutto certo che sia il concetto di frontiera a essere in questione … Il concetto stesso di frontiera segna la distanza minima che dovrebbe sussistere fra gli individui affinché siano liberi di comunicare fra loro come desiderano. La lingua non è una barriera insuperabile, è una frontiera. Apprendere la lingua dell’altro, o il linguaggio dell’altro, significa stabilire con lui una relazione simbolica elementare, rispettarlo e raggiungerlo, attraversare la frontiera. Una frontiera non è un muro che vieta il passaggio, ma una soglia che invita al passaggio. Non è un caso che gli incroci e i limiti, in tutte le culture del mondo, siano stati oggetto di un’intensa attività rituale. Non è un caso che gli esseri umani abbiano dispiegato ovunque un’intensa attività simbolica per pensare il passaggio dalla vita alla morte come una frontiera: è solo grazie all’idea che la si possa attraversare nei due sensi che la frontiera non cancella irrevocabilmente la relazione fra gli uni e gli altri”.
Ed è con questo linguaggio, di cui la musica è stata sì parola e narrazione ma soprattutto forma comunicativa, che i Širom sono entrati in empatia tra loro, sul palco, e, abbattendo la quarta parete, con tutti i presenti.
Menzione particolareggiata per la ricerca e l’utilizzo degli strumenti usati, taluni più convenzionali (violino, ocarina, banjo, balafon …) o d’ispirazione “concreta” (recipienti e altri oggetti) e talaltri figli di una tradizione a molti meno nota (per tutti l’hurdy gurdy declinato da Samo Kutin con taglio sperimentale e il guembri suonato da Iztok Koren).
autore: Marco Sica
foto: Lucio Carbonelli