I Supersystem altri non sono che gli El Guapo, i quali, traslocati da un’etichetta (la Dischord) ad un’altra (la Touch and Go), e sancita ufficialmente l’entrata nella band di Josh Blair, hanno deciso di cambiarsi il nome.
Inutile – secondo me – indagare sulle profonde motivazioni dietro questa scelta, che – considerando il carattere da sempre “instabile” e inquieto dei nostri – probabilmente sarà stata dettata semplicemente dalla loro costante e implacabile smania di mutamento, novità, trasformazione.
Dal punto di vista del contenuto – che è poi l’unica cosa che interessa veramente a chi va a comprarsi i dischi – “Always never again” riparte dal punto dove avevamo lasciato gli El Guapo di “Fake french”. Da quella micidiale miscela di sintetizzatori e chitarre, di pulsioni dance e ruvidezza post-punk che c’aveva fatto muovere non poco le gambe un paio d’anni fa. Il suono s’è fatto nel frattempo ancora più compatto e diretto: la band ha levigato le increspature e gli aspetti più sfilacciati della sua musica, puntando su soluzioni ritmiche e melodiche ancor più accattivanti e immediate.
Dalle tastiere sospese e le chitarre “arabeggianti” di “Born into the world” al funk scalpitante di “Everybody sings”, che – azzardando, ma neanche troppo – ricorda quasi i N.e.r.d.; dallo psicotico electro-techno-punk di “Defcon” alle melodie suadenti di “Six cities”; dalla perfezione dance-rock di “Click click” alla psichedelia di “Miracle”; dai bassi portentosi di “Tragedy” alle urla – memori del recente passato “dischordiano” – di “1977”, “Always never again” suona terribilmente “catchy” e sexy, schizzato quanto basta, ma soprattutto ballabilissimo. Una, due, spanne sopra la media dei dischi che in questi anni stanno cercando di far (s)muovere il culo ai debosciati (indie)rockers del pianeta.
Autore: Daniele Lama