“I Pixies sono come i Ramones: il nostro suono è fatto da elementi semplici e al tempo stesso unici. Ti basta sentirci una volta per riconoscerci: il tizio schizzato che urla, la bassista dalla voce angelica, la chitarra solista che suona in un certo modo, la batteria…questo è ciò che sono i Pixies. Noi siamo sempre gli stessi”. (Rolling Stone, intervista di Emiliano Colasanti)
Black Francis riabbraccia così la band di cui è frontman, ricordando quello che di straordinario hanno fanno negli anni ’90 e celebrando la ritrovata (a dir suo facilmente) amalgama nella storica band di Boston.
Nessun dubbio sui ricordi del passato: per chi ha vissuto il periodo grunge (Kurt Cobain compreso) i Pixies sono stati un passaggio d’ispirazione fondamentale, rinunciare alla loro musica a partire dal 1991 è stato molto doloroso per almeno due generazioni. Francis, però, non è del tutto sincero su questo “EP1” quando parla di amalgama : la reunion non è completa, manca Kim Deal, bassista storica della band.
La mancanza si sente, inesorabilmente, e questo riporta immediatamente alla seconda piccola “bugia” detta dal cantante/chitarrista della indie-rock band di Boston: in questo EP, primo di una lunga serie già annunciata per novembre 2013 e per il 2014, non ci sono i veri Pixies.
Quattro tracce piatte, senza picchi di qualità e senza carica emotiva: i livelli qualitativi di “Surfer Rosa” e “Doolittle” sembrano (ed in realtà sono, purtroppo) lontani anni luce. L’unica salvezza per le quattro tracce, criticate praticamente dall’intera critica internazionale, potrebbe essere concepirle come un lato “inedito” dei Pixies, ma attenzione, intendiamoci: un approccio differente, apparentemente più distaccato, non di certo sperimentazioni musicali o di stile.
Si parte con “Andro Queen”: una marcia senza anima, completamente svuotata da teatralità e carica, la canzone space-pop “moscia” che non ti aspetteresti da una band della caratura dei Pixies. Si prova a cambiare ritmo, a recuperare (quasi forzando) l’indie rock anni ‘90 con “Another Toe in the Ocean”: il risultato resta melodia senz’anima, classica impronta indie con l’aggiunta dei classici marchi di fabbrica della band di Boston e di una leggera influenza dei lavori da solista di Black Francis, non funziona.
Nella “democristiana” “Indie City” non c’è niente che resti impresso all’ascoltatore, il cantante dei Pixies si chiede nel testo se il lavoro sarà apprezzato dal pubblico: la canzone sicuramente no, il lavoro intero idem, ma l’unico pregio della terza traccia è che ci porta verso l’unica canzone degna di nota dell’Ep. “What Goes Boom” è l’unico guizzo dei Pixies, atmosfera degna di quelle musico-cinematografiche di Lynch, finalmente qualche sana schitarrata, la tipica canzone per gli affezionati che riporta ai fasti del passato: il fatto che ci troviamo a valutare come migliore traccia qualcosa di già sentito, purtroppo, descrive bene la qualità del lavoro.
E’ difficile non notare il carattere fallimentare di questo EP. Probabilmente sarebbe anche più corretto valutare il resto delle uscite prima di criticare i “nuovi” Pixies, ma questo lavoro resta inaccettabile per una band tanto importante e rivoluzionaria per il panorama del rock alternativo: l’impressione è che questo lavoro sarebbe a malapena accettabile per una piccola band indipendente che si lancia per la prima volta nel mondo dell’indie rock.
La mia personale soluzione è stata semplice, da estremista: ho provato a negare completamente l’esistenza di questo EP, a dimenticare di averlo ascoltato, di averne scritto e, per bilanciare la delusione inconscia, ho rispolverato il mio vecchio vinile di “Doolittle” e l’ho ascoltato, a ripetizione, fino a consumare la puntina del giradischi.
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autore: Natale De Gregorio