E’ la Natura che emerge in tutta la sua prorompente grandezza in questo disco, poichè i Moly, quartetto post-rock inglese giunto al secondo disco, sembrano ispirarsi nei loro sinistri e drammatici bozzetti a sterminati paesaggi di questo ed altri Mondi (i racconti di Lovecraft, la pittura di Salvator Rosa, le pellicole di Kubrick); musica strumentale immaginifica e visionaria la loro, carica di tensione e smarrimento notturno, e sempre sospesa tra morbidi droni space-rock e laceranti aggressioni white-noise.
Hanno buone chances, ne siamo convinti, di insediarsi nell’olimpo del post-rock europeo al fianco di colossi come Mogwai ed Ulan Bator, con i quali condividono l’amore per il disordine, per le sensazioni forti ed il rifiuto del gelido esercizio di certo “rock matematico” puro e semplice. Il terzo pezzo dell’opera, ‘Blood Will Flow’ – lo intuite dal titolo – è di fatto un incubo cinematografico: una lunga scena carica di suspence che termina con una cruda mattanza noise, mentre ‘Albert Eaddy’, con i suoi 18 minuti piazzati coraggiosamente lì a metà del disco, imbocca (Sigur Ros insegnano…) uno dei pochi sentieri che la psichedelia, nel 2005, può seguire senza suonare stantìa: niente riferimenti al colorato caleidoscopio 60s ed al trito e ritrito trip acido dunque, bensì lucido panico da rumori notturni nel bosco con il lupo mannaro a spasso nei paraggi.
Le composizioni dei Moly appaiono monolitiche nella struttura e dilatate nella durata, si fondano su solide e ragionate ritmiche basso-chitarra-batteria fatte spesso di due accordi soltanto, e sulla semi-improvvisazione di chitarra o tastiera a seconda dei casi, che intessono traiettorie sempre in crescendo. 68 minuti di durata non sono pochi per un disco strumentale, siamo d’accordo, ma una volta tanto giungiamo alla fine esausti e pronti a riascoltare nuovamente e subito l’intero disco. Era dagli esordi del Black Emperor che non ci accadeva con un disco post-rock.
Autore: Fausto Turi