Abbandonata nel 2001 l’ultima etichetta discografica che li aveva avuti sotto contratto – dall’esordio nel 1982 con la Emi, avevano girovagato, specie nei 90, tra varie major – da allora i gloriosi Marillion si autoproducono i dischi, chiedendo ai fan di prenotarli possibilmente con un anno d’anticipo sulla pubblicazione attesa, anticipando nel frattempo le spese, e coprendole poi coi proventi di vendita. Vendita che del resto avviene soltanto attraverso il loro sito internet www.marillion.com, in download (wma o mp3) o per spedizione postale, e così è anche per questo nuovo doppio album, intitolato ‘Happines is the Road’, della durata complessiva di 110 minuti.
Il primo disco – il volume 1 intitolato ‘Essence’, dalla copertina rossa – è un concept intorno alla felicità, su come farne un principio guida del proprio comportamento. Spiccano qui ‘This Train is my Life’, molto romantica, nostalgica, quasi “gilmouriana”, e poi l’omonima ‘Happiness is the Road’ classica, dilatata, elegantissima, che lascia intravedere com’erano un tempo i Marillion, ma attenzione, senza duelli di tastiere, assoli di chitarra, e scale infinite di basso a tutta velocità; ancora: molte composizioni ambient elettriche, ballad acustiche rette sulla voce lirica del cantante Steve Hogarth, qualche strumentale, musica monolitica, assolutamente AOR che tuttavia prova anche a riprendere i suoni e le intuizioni gelide e moderne di Sigur Ròs e Radiohead, con variazioni nell’impianto compositivo e strumentale però minime, ed un effetto complessivo assolutamente troppo piatto, specialmente considerando la lunghezza del lavoro. Inoltre, in alcuni momenti, avanza lo spettro della new age, e non è una buona cosa. Chiude il CD ‘Half Full Jam’, pezzo finalmente più disincantato, corpo estraneo all’album – praticamente una ghost track – sempre elegante ma meno emotivo, forse un rock blues improvvisato in studio.
Il secondo disco – il volume 2 intitolato ‘The Hard Shoulder’, dalla copertina blu – aggiunge qualcosa, ma non troppo: è più istintivo, contiene più ritmo, e malgrado anche le 9 tracce qui incise suonano pulitissime nella forma, ha dei risvolti chitarristici blues coi piedi ben saldati a terra.
Steve Hogarth (voce), Mark Kelly (tastiera), Steve Rothery (chitarra), Pete Trewavas (basso) e Ian Mosley (batteria), sono dinosauri con 27 anni di carriera alle spalle; specialisti delle lunghe suite progressive, un tempo veri e propri cloni di Genesis, EL&P e Yes, hanno mantenuto in auge quel genere di musica lungo tutti gli anni 80, con le memorabili copertine disegnate ed album notevolissimi, quali ‘Fugazi’ e ‘Misplaced Childhood’, e probabilmente hanno avuto anche un ruolo importante nell’ispirare il c.d. Prog Metal, che ebbe una stagione di popolarità all’inizio dei 90. Ora cercano, con esiti per la verità incerti, di rigenerare la propria musica, e questo è comunque un bene. Un doppio CD che ripropone in tutte le salse la stessa idea estetica, però, decisamente stanca.
Autore: Fausto Turi
www.marillion.com