La seconda – e artisticamente più interessante – delle tre giornate del Mamamù Rock Fest, manifestazione che anche quest’anno si svolge nel parco Totò di Bagnoli, vede esibirsi tre valide formazioni campane, prima dell’ospite d’onore Marco Parente.
Due parole sul festival, innanzitutto: il biglietto costa poco, si svolge in un giardino pubblico grazioso che stranamente i vandali non hanno ancora scoperto e devastato, si mangia e si beve, fuori non c’è il parcheggiatore abusivo, ci suona il meglio degli emergenti locali ma anche affermati musicisti nazionali, ed il livello complessivo fa piccoli progressi di anno in anno, pur conservando il profilo indipendente.
E’ allo stesso Marco Parente che gli organizzatori faranno comunicare, al microfono, che stasera siamo 450 persone, ma torniamo indietro, e si comincia con il folk-rock tradizionale ed intenso dei Softone, puro stile West Coast, acustici tra Neil Young, Giant Sand e Franklin Delano, che qui presentano il loro CD-single d’esordio ‘All my Days’ regolarmente in vendita al banchetto di fianco al palco: un gruppo il cui demo omonimo, sulle pagine elettroniche di Freakout, valutammo positivamente un’anno e mezzo fa. Il frontman Giovanni Vicinanza ci mette l’anima, l’esibizione è buona ed abbastanza coinvolgente, malgrado – come precisano loro stessi prima di lasciare il palco – in formazione rimaneggiata, e così giocata solo su chitarre, voci e batteria: senza abbellimenti o colori originali. Poi tocca ai salernitani Denise, anch’essi paladini di Freakout, la cui cantante – con una interessantissima voce che ricorda Bjork – si presenta con un simpatico vestitino stile Alice in Wonderland, ma la prova musicale del gruppo non è neanche giudicabile, vanificata com’è da snervanti problemi tecnici: riusciranno ad eseguire soltanto una canzone del loro pop giocattolo stile A Toys Orchestra, e chiuderanno con mille scuse per l’occasione perduta. La successiva esibizione è quella che a conti fatti davvero scuoterà di più il pubblico: i napoletani El-Ghor, quartetto che negli anni ha mutato la propria formula da un post rock ‘seduto’ e privo di prospettive verso un funk rock ‘cazzuto’, coinvolgente, euforico, che gli è valso molta attenzione a livello nazionale con il recente disco dalla splendida copertina intitolato ‘Dada Danzè’, e con il pluripremiato videoclip di ‘Nella Resa il Vanto’. La giovane bassista del gruppo, schiva fino all’inverosimile, continua dagli esordi ad esibirsi in disparte, seduta spalle al pubblico, completamente vestita di nero, praticamente invisibile. Cantano in italiano e francese.
E poi tocca a Marco Parente. Prima del concerto lo avvicino, e mi spiega che sta scrivendo cose nuove ed in Settembre entrerà in studio per incidere, che gli strepitosi musicisti che lo accompagnavano in Neve Ridens 1 e 2 lo hanno abbandonato per seguire chi gli Afterhours (il tastierista) chi Vinicio Capossela (il chitarrista), e che stasera si esibirà da solo sul palco. Marco mi sembra rilassato, di buon umore, e finalmente! Parliamo anche del suo doppio DVD di recente pubblicazione, e mi anticipa che qualche performance dadaista lì contenuta cercherà di riproporla anche stasera. Ed infatti la prova di Marco sarà non proprio facile da seguire: come al solito strepitoso nei gorgheggi vocali, con un paio di inediti, molte canzoni da Neve Ridens, e in una performance così scarna e senza fronzoli mi accorgo di quanto il toscano sia bravo alla chitarra acustica; osa molto meno invece alla tastiera. Ma quando tira fuori il lettore CD per sfruttare delle basi rumoriste di cui si dilunga per 10 minuti a spiegare la provenienza, peraltro imballandosi un po’, beh… si perde decisamente il filo. Ma Marco Parente è fatto così, lo sappiamo.
Autore: Fausto Turi
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