U2 a Dublino, finalmente ci sono riuscita, una combinazione veramente tipica, un po’ come mangiare la pizza a Napoli!
Per arrivare al Croke Park, lo stadio dove si tiene il concerto, non c’è bisogno di conoscere la strada né di chiedere indicazioni, è sufficiente seguire la folla dotata di cappelli da cowboy (venduti in ogni angolo delle strade) e magliette degli U2. Ci ritroviamo ad un bivio, proseguiamo per l’ala dove abbiamo i posti e rimaniamo sorpresi, fino a poco prima dell’inizio concerto non c’è nessuno nel parterre o “pitch” come viene chiamato qui, sono ancora tutti fuori a bere birra visto che non è consentito portare alcolici all’interno. Lo stadio viene usato solitamente per il calcio gaelico e l’hurling in quanto gli irlandesi, attaccati alle loro radici, in quel luogo hanno bandito il calcio, troppo inglese e poco patriottico. Insieme ai The Thrills, il compito di iniziare lo spettacolo spetta a Paddy Casey (il Francesco Renga irlandese, gli assomiglia…) si comporta bene, anche se, poverino, viene penalizzato dal fatto di trovarsi davanti ad una platea che vuole solo ascoltare i mitici quattro.
Appena finisce la sua esibizione l’aria inizia a diventare elettrica, gli anelli iniziano i giri di Ola, (“mexican waves” abbiamo imparato anche come viene chiamata qui) e piano piano viene coinvolto tutto lo stadio in un richiamo generale.
Un boato.
L’attacco di ”Vertigo”, lo si riconosce subito. Entrano finalmente, gli U2 sono sul palco, a pochi metri da noi! “Vertigo” non inizia neanche, viene subito modificata facendola diventare “Out of Control”, un’ovazione ed una novità. E’ strano ed entusiasmante sentire gli U2 suonare una loro canzone che ha più di venti anni, un’emozione segue l’altra ed infatti attaccano “The Electric co.”
Poi passano ad un pezzo più recente, di un album non bene accolto né dalla critica né particolarmente dai fans, “All that you can’t leave behind” e la canzone in questione è forse la migliore del Cd :“Elevation”. Si continua sull’onda dei ricordi e delle canzoni che oramai fanno parte della nostra vita, dei nostri ricordi, della storia: “New year’s Day”. Li immaginiamo come nel video, giovani, in una foresta innevata, ed invece loro sono cresciuti, come lo siamo tutti, non sono più con la neve fino alle ginocchia ma sono su un palco, nella loro città natale con migliaia di persone osannanti. Un susseguirsi di successi, incessantemente, uno dietro l’altro ed ecco arrivare un altro pezzo storico che ricordo con particolare emozione, perché il video è stato girato ad Ostia Antica, parlo di “All I want is you”, interpretato magistralmente e con una carica emotiva da riempire lo stadio di lacrime. Arriva l’ora del singolo attualmente in rotazione, “City of blinding lights”, entra in azione anche il maxi schermo alle spalle del gruppo che rimanda le immagini del palco, stavolta è lui e non Bono, il protagonista. Finalmente le luci del giorno iniziano a calare e il ledwall fa la parte migliore, si accende e mostra una città virtuale, fatta di luci e colori.
Regala sensazioni uniche “Sometimes you can’t make it on your own”, l’atmosfera diventa suggestiva; gli schermi passano dai colori abbaglianti al bianco e nero. Bono si toglie gli occhiali per mostrare la sua vera anima e la drammaticità, il suo estro artistico e la sua vena recitativa.
Bono si muove, si agita, canta e recita, si sente a suo agio sul palco, come sempre ma in questo caso gioca in casa, scende quasi tra il pubblico ad ogni esibizione.
Potrei azzardare un paragone tra il palco del Croke Park e Piazza San Pietro, qui non ci sono i colonnati ma le due passerelle che abbracciano virtualmente i fans, da bravo irlandese, Bono, si trova nella sua chiesa, come fosse il Papa : “The gospel according to Bono”.
Arriva il classico per eccellenza, “Sunday bloody Sunday”, eseguita qui dà i brividi, tutto lo stadio la canta a squarciagola ed esplode in un unico coro. La canzone è ancora un simbolo che rappresenta un momento storico per una parte di Irlanda, quasi un inno nazionale per un popolo che da secoli attende di essere unito.
Su “Bullet the blue sky” Bono appare in ginocchio, con una benda sugli occhi, come se fosse un prigioniero, un’immagine drammatica ma oramai tragicamente quotidiana al telegiornale, sulla benda c’è una parola che viene ripresa anche dal ledwall: CoeXisT; dove la “C” è la mezzaluna araba, simbolo dell’islamismo, la “X” è la stella di David ebraica e la “T” è la croce, simbolo del Cristianesimo.
Un ennesimo invito a riflettere, da parte di una rockstar, che riconosce nella musica il potere di cambiare gli animi, migliorare il mondo, in una settimana a ridosso del G8 e della manifestazione per l’eliminazione dei debiti dei paesi poveri.
Continuano i ricordi, si attinge a piene mani dagli album che li hanno fatti conoscere ed amare in oltre due decenni e si conclude con la meravigliosa e sempre romantica “One”.
Si spengono improvvisamente le luci, e violentemente si riaccendono, sul maxi schermo si materializza il piccolo astronauta simbolo di Zooropa che introduce i bis e Bono con il suo famoso passo dell’oca, le sue ombre cinesi sullo schermo che annunciano “Zoo station”.
A sorpresa gli U2 fanno salire un ragazzo canadese del pubblico, gli viene chiesto cosa vuole fare, se vuole suonare o cantare. Il ragazzo dopo un mini consulto con Edge imbraccia una chitarra acustica ed attaccano “Party Girl”, altro piacevolissimo regalo che ci fanno questa sera.
Finalmente come promesso dall’inizio si conclude con “Vertigo” ed è una vertigine, un’esperienza unica, indimenticabile.
L’emozione di trovarsi a Dublino, a vedere gli U2, è forte. Adam, Larry, Edge e Bono, ultraquarantenni, a casa loro, con mogli, figli e parenti vari che li guardano suonare.
Loro danno il massimo. Tanta è la voglia di suonare bene e di fare un grande spettacolo come i primi anni, insomma dei veri professionisti. La voce di Bono, tanto discussa e criticata rende bene. C’è chi dice che non ce la fa più a reggere un ritmo così incalzante, invece smentisce tutti anzi appare anche più in forma rispetto agli ultimi tempi. Dimagrito e grintoso ha voluto mettere a tacere le malignità su di lui. Edge, sempre impeccabile, un virtuoso della chitarra, la colonna portante degli U2, il compagno d’avventure per uno scatenato ed indomabile Bono.
Adam e Larry come sempre sono le fondamenta ritmiche, immutate ed immutabili, una certezza su cui fare affidamento sempre, su cui si basa lo stile inconfondibile degli U2, il marchio di fabbrica che da sempre li accomuna.
Senza di Larry non ci sarebbero gli U2 e senza di Adam non ci sarebbe il gossip e la parte trasgressiva del gruppo, visto che gli altri sono tutti accasati. La fine del concerto arriva repentina, non ci si accorge del tempo che è passato, si è ancora pronti per ascoltare la prossima canzone, in realtà sono volate già due ore e le luci si accendono, non resta che scendere nel parterre e acquistare la memorabilia del caso, una maglietta, un poster o una spilla per andare in giro a Dublino, orgogliosi, ostentando le prove della partecipazione a questo avvenimento e magari ritrovarsi in un pub davanti ad una birra a parlare con gli altri fan rivivendo le emozioni ancora in circolo.
Autore: Paola Cornacchiola _ foto di P. Cornacchiola
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