Si è confermato ad alti livelli l’ormai classico appuntamento d’inizio estate con Terni in Jazz, rassegna che, come di consueto, ha offerto al vasto pubblico la possibilità d’ascoltare ottimi musicisti, degustare i prodotti tipici del territorio, ammirare i luoghi turistici della zona e ricavare spunti di riflessione artistici e filosofici.
Organizzato con il fondamentale supporto della rivista Jazzit, l’evento di quest’anno, dal titolo “Piano, forte”, aveva come idea di base quella di focalizzare l’attenzione su alcuni dei migliori e più innovativi interpretati del pianismo internazionale.
Nella settimana del Festival si sono esibiti: Jason Moran, Django Bates, Eric Legnini, Bojan Z. ed altri grandi del panorama internazionale di diverso strumento come Manu Katché, Bobby Watson, Nasheet Waits e Massimo Donà.
Sabato 23 è salita sul palco dell’Anfiteatro Fausto la band del batterista Nasheet Waits (nella foto), con Jason Moran al piano, Taurus Mateen al basso e con l’aggiunta dell’ospite speciale Logan Richardson al sax alto.
Era uno dei concerti più attesi e che maggiormente incuriosivano gli addetti ai lavori. Ne è venuto fuori un set tutt’altro che scontato, spigoloso, di difficile interpretazione ma dalla cifra stilistica elevata.
Moran si è confermato all’altezza delle ultime esibizioni che lo hanno messo (a pieno merito) sotto i riflettori del panorama jazzistico mondiale. Ha sfoggiato una sapienza timbrico-ritmica senza eguale, tocco deciso e movenze sulla tastiera funamboliche. Telepatici e di grande suggestione gli scambi e le elaborazioni ritmiche con un Waits leggero e saltellante sui piatti, deciso e muscolare sui tamburi. Nel mezzo Mateen supporta nell’ombra la manipolazione temporale dei due, riuscendo in un accompagno tutt’altro che accademico. Anche se fuori dagli schemi, gli interventi di Richardson non sottraggono nulla al giudizio complessivo di una band che ha lasciato ai presenti un piacevole senso di disorientamento.
Di gran lunga più potabile, ma non per questo meno appassionante, il secondo set della serata che ha visto protagonista il trio del pianista serbo Bojan Zulfikarpasic. Sonorità provenienti dai balcani trovano la giusta amalgama jazzistica nel trio grazie alle larghe vedute sonore del pianista di Belgrado. Colorato e multiforme, il concerto si sviluppa su temi molto ritmati e imprevedibili.
I suoni particolari sviluppati dallo xenophone di Bojan (una specie di piano elettrico con possibilità di campionamento dal suono inusuale) vanno a mescolarsi con la classicità del contrabbasso di Rémi Vignolo e lo stimolante drumming del newyorkese Ben Perowsky, producendo un sound complessivo molto singolare e unico del suo genere. Il pubblico ha gradito rispondendo spesso con applausi sinceri.
Serata dunque all’insegna dell’innovazione; jazz dal taglio moderno avvolto tra le antiche rovine dell’Anfiteatro, storia e modernità che s’incontrano e flirtano con discrezione e stile, grazie alle giuste coordinate fornite dall’impeccabile organizzazione.
Autore: Roberto Paviglianiti
www.terniinjazz.com