Strumentazione rock, voce, fiati, elettronica. Lasciamo perdere le componenti centrali per un attimo e riflettiamo: quante volte, alle prese con “nostre” giovani band, abbiamo imprecato contro i disastri provocati dall’ingordigia di non saper rinunciare al rock o ai suoni sintetici? Quanti mostri ci siamo dovuti sorbire perché non si poteva lasciare il tal amico fuori dal gruppo o perché si voleva dare un taglio più “moderno” alle proprie sonorità pop-rock (di solito è questo il percorso anziché quello inverso), magari spacciando per “elettronica” una tastiera buona per piano bar e prime comunioni? Troppi. Ma questo, per fortuna, non sembra essere il caso. In line-up, peraltro, c’è anche un poeta-narratore ultracinquantenne, che fa la sua comparsa in chiusura di disco. Questa mi è nuova, devo dire.
“Pai Nai”, allora. Non un album omogeneo, innanzitutto, o almeno non tale da poterne racchiudere la sua consistenza in poche, sintetiche sillabe. Crossover? Certo, se diamo a questo termine la facoltà di calzare tutto ciò che non è fortemente caratterizzato in un qualche archetipo sonoro. Fusion? Mmmh, la componente jazz c’è, ma non è che sia così marcata.
Mettiamola così: una parte dei brani sembra radicata, quanto a concepimento, in strutture – da intendere in senso elastico-dinamico – “classiche” (e qui il concetto richiede ancor più elasticità), su cui l’elemento elettronico si innesta ora come sfumatura, ora come “involucro”, sonoro o, più specificamente, ritmico; altri (pochi) brani vedono invece l’elettronica come elemento trainante, che detta le condizioni di come saranno gli altri strumenti, stavolta, a doversi innestare.
Non vi ho svelato sì e no quasi un cazzo, me ne rendo conto. Ed in effetti non c’è un brano che possa come prendersi come rappresentativo del gruppo romano. Cosa scegliereste voi tra una marcetta da luna-park e una frenetica drum’n’bass jazzata? Tra un riffone pseudo-hard e una jazz-rock jam disturbata da nicotinica raucedine? Tra un decadente crooning blues e una solare melodia acustica? O ancora tra un electro-pop para-minimale e una sfuriata di sax? Certo, ecletticità raramente va a braccetto con riconoscibilità (quindi fruibilità – e meno male che almeno, qua e là, sanno metterla sul piano dell’ironia). Però – e torniamo alla premessa – potevamo pure imbatterci in chissà quale paccottiglia…
Autore: Roberto Villani