Ci sono ricascata, alla fine. Proprio l’ultimo giorno disponibile per questa insana pratica, Tornare A Vedere Pete Doherty. O forse meglio dire: Andare a Trovare Pete Doherty?
Perché letteralmente, presentarsi per un simile show adesso, 2012, ti mette addosso lo stesso entusiasmo dell’andare a far visita a un amico parcheggiato in rehab. E sull’amico siamo d’accordo: Doherty, anche se adesso si fa chiamare Peter per darsi un tono, sul palco è sempre il solito vecchio accattone.
Il pubblico gli vuole bene, è affezionato alle sue scorribande e lui è affezionato al suo pubblico, che di volta in volta continua ad arricchirgli il guardaroba tirandogli dietro magliette di ogni taglia e discutibile gusto. O libri. O sigarette. E lui che ringrazia, si stupisce, ogni volta, fa quella cosa con gli occhioni spalancati e la mano sul petto come a dire: questo? Proprio per me? Posso tenerlo? E allora gli vuoi bene e se fino a poco prima i tuoi pensieri erano concentrati a) su una via di fuga; b) su come riuscire a farti rimborsare i soldi del biglietto, ecco, dopo una scena del genere ti si scioglie il cuore. “E’ il solito piccolo libertino perduto, almeno se lo vediamo suonare, siamo sicuri che stia bene, qui ed ora.”
Per la cronaca, comunque, Doherty riesce ancora a dare numeri. In tutti i sensi, primo su tutti, numeri di presenze: la prima serata romana, il 13 settembre, ha registrato un sold out, per poco sfiorato anche per la seconda data, a giudicare dalle gomitate.
Anche se le prime file erano occupate dai fedeli seguaci dei Mostri, band romana che riesce a risvegliare pure l’indie più assopito, con le loro storie di bivacco a piazza Trilussa e ansie da esame. Dopo l’esperienza invernale all’Atlantico live, dove le note acustiche della chitarra di Pete vagavano spaesate per la struttura troppo grande come bastardini ai bordi dell’autostrada del sole, offrire un patibolo più intimo al povero cantore è stata un’ottima idea.
Che non sarà piaciuta tuttavia alle ballerine posticce che da un po’ di tempo sono parte fissa dello show: due ragazze che hanno l’aria di essere state raccattate all’angolo di una stradina di Soho, magari fuori la porta di uno strip club. Hanno la grazia di me da piccola che cerca di volare come Wendy e l’eleganza di Loredana Bertè.
Time for heroes, Albion, What Katie did, Can’t stand me now. Perfino un tentativo di cover dai Beatles (la She loves you peggiore della storia, seconda solo a quella che suona in cameretta Justin Bieber).
Gran parte dello show, con le solite canzoni trite e ritrite performate con mugolii e falsetti da far invidia ai tacchini, me lo sono passato a fantasticare sulla vera identità di quelle due signorine senza permesso di soggiorno che gli stavano dietro: saranno le sue fidanzate? Ci avrà mai giocato a bondage? Avrà mica la possibilità di pagargli i biglietti d’aereo?
Scopro alla fine che sono le sue coinquiline. Che se le porta dietro ad ogni show. E questa, secondo me, è una mezza verità. Troppo più probabile che siano le sue infermiere in missione speciale dalla casa di cura. O dalla polizia.
Autore: Olga Campofreda _ thanx GLasstudios per i video _ foto di Luigi Orru
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