Il 2023 è stata un’annata che si è rivelata, sino ad oggi, eccezionale nel campo delle “pubblicazioni” musicali; un’“eccezionalità” che ha investito sia l’ambito più formale, con lavori discografici ad “effetto”, che quello sostanziale.
Mentre i social e i giornali (specializzati e non) erano impegnati nel dibattere sulla bontà o meno di “The Dark Side Of The Moon – Redux” di Roger Waters, di “Now And Then” dei The Beatles e di “Hackney Diamonds” dei The Rolling Stones, vedevano la luce tantissimi dischi di altissimo pregio, molti dei quali animati da una moderna vitalità che li rendeva “contemporanei”; solo negli ultimi mesi ho avuto modo di recensire i bellissimi “Playing Robots Into Heaven” di James Blake, “Again” di Oneohtrix Point Never, “Javelin” di Sufjan Stevens, “Fly or Die Fly or Die Fly or Die (World War)” di Jaimie Branch ….
È giusto chiarire che anche su queste pagine sono stati trattati i citati “The Dark Side Of The Moon – Redux”, “Now And Then”, “Hackney Diamonds”, e che tante competenti “fanzine” e riviste specializzate, con la professionalità che le contraddistingue, hanno parimenti recensito i suddetti dischi di pregio; non è quindi la mia una critica indirizzata agli addetti ai lavori, ma è l’esternazione di un’impressione personale, basata sui riscontri avuti e sui dibattiti aperti, di come, per i più, continuino ad interessare i “soliti nomi noti”, rispetto a una vasta qualità che fuori dai circuiti di “genere” fatica nel catalizzare l’attenzione e a creare un confronto “dialettico”.
E così, Laurence Andrew “Lol” Tolhurst, storico batterista dei The Cure, Peter Edward Clarke (in arte Budgie), storico batterista dei Siouxsie and the Banshees, e il noto produttore Garret “Jacknife” Lee, qui impegnato anche come musicista (Lee vanta in carriera innumerevoli collaborazioni tra l’altro con R.E.M., U2, The Cars, The Killers, Robbie Williams, Snow Patrol …), hanno firmato un sodalizio che ha portato alla realizzazione di “Los Angeles” (PIAS), un disco che, sebbene affondi le proprie radici nel passato, si veste di un’eleganza senza tempo, nella commistione tra art-rock, “wave” (ad ampio raggio), galm, elettronica … per un doppio vinile, diviso in due Volumi (uno per LP – o meglio il Volume 1 su di un intero LP, mentre il Volume 2 su un solo lato di un LP il cui secondo lato è occupato da “grafiche” incisioni), di alto livello, raggiunto grazie, anche, alla partecipazione (a completamento) di ospiti più che illustri che hanno, di volta in volta, brano per brano, costituito un “super gruppo”.
“Los Angeles” rappresenta alla perfezione uno di quei lavori discografici che riescono a collocarsi in un’esatta e virtuosa asse trasversale, poiché, sebbene non forieri di rivoluzionarie intuizioni, incarnano quel valore metastorico che li rende nel tempo, fuori dal tempo.
Unica pecca di “Los Angeles” è l’eccessiva lunghezza, “vulnus” che ultimamente sta colpendo molte produzioni di notevole fattura malgrado il ritorno al vinile; se “Los Angeles” fosse stato racchiuso solo tra un Side A un Side B non sarebbe stata un’iperbole definirlo “impeccabile” (considerando anche, come già detto, che il disco in sostanza consta di soli tre “Side” ).
In apertura, il gusto “rock-pop” della bella “This Is What It Is (To Be Free)”, con alla voce Bobby Gillespie (celebre membro dei The Jesus and Mary Chain dei tempi di quel capolavoro che è “Psychocandy” e anima dei Primal Scream), brano che in un crescendo finale, “epico”, porta all’eponimo primo “grattacielo” di “Los Angeles”. Su di un ritmo che evoca la meravigliosa “Atlas” dei Battles (per lo scrivente una delle “canzoni” più belle del nuovo millennio), si fondono gli LCD Soundsystem dello splendido omonimo esordio con al sua “Tribulations” e i suoi “Daft Punk Is Playing at My House”; non a caso il brano “Los Angeles” vede la partecipazione di James Murphy alla voce. In “Los Angeles” è tutto edificato con esattezza, dal perfetto cantato (una moderna “L.A. Woman ” che sarebbe piaciuta tantissimo anche a Jim Morrison), ai suoni noise, all’incedere, alle rifiniture percussive, al “sordo” rallentamento sul finire prima che la pulsazione riprenda e si perda nelle tribolazioni percosse e nelle dilanianti sferzate punk-rock-industriali di “Uh Oh” con Arrow de Wilde dei Starcrawler alla voce e Mark Bowen degli Idles alla chitarra (non possiamo non citare il loro ottimo “Ultra Mono”).
Il primo lato del Volume 1 si chiude con la travolgente “Ghosted at Home”, in cui torna Gillespie e con lui tutta l’allucinazione violenta da rave party.
Il tempo di voltare “faccia” e un treno marcato “Kraftwerk” incede senza soste lungo i binari di “Train With No Station”, prima di saltare nel buio dell’onirica galleria con “I saw a photograph of god/Closer to the edge of love/Symmetry inside of us …” (fuochista d’eccezione David Howell Evans “the Edge” alla chitarra).
Con “Bodies” le contaminazioni operano incontri impensabili unendo la voce (torna l’ombra di un Jim Morrison sciamanico) di Lonnie Holley (suo, sempre, del 2023 il bel “Oh Me Oh My” e da menzionare anche “Mith” del 2018) ai ricami di arpa, in contraltare, di Mary Lattimore (autrice di splendi dischi quali, ancora del 2023, “Goodbye, Hotel Arkada” nonché “Hundreds of Days” del 2018 e “Silver Ladders” del 2020): “Bodies” è l’ennesima “perla” di “Los Angeles”.
Se “Everything and Nothing” dà libero sfogo alle arti di Tolhurst, Budgie e Lee, esaltando il ritmo e il concetto di riff essenziale e ripetuto, “Travel Channel” congeda il Volume 1 con un tribalismo urbano esaltato dalla voce e dalla tromba di Leron Thomas nella veste del rapper Pan Amsterdam.
Il Volume 2 si apre con la sinuosa “Country Of The Blind” (ancora Bobby Gillespie alla voce), pervasa da fumi da (s)ballo notturno.
“The Past (Being Eaten)” è breve intermezzo in cui gli archi di Davide Rossi fanno da preludio a “We Got To Move”, un tripudio di dance-wave-punk con la partecipazione (oltre a Rossi) di Isaac Kristofer Brock alla voce (indimenticabile in “The Moon & Antarctica” con i Modest Mouse).
“Noche Oscura”, complice anche la non riuscita chitarra di the Edge, segna probabilmente il momento meno convincente dell’intero disco, per uno strumentale che avrebbe dovuto dare sicuramente di più (mi viene in mente, perché di fresca recensione, la chitarra di Lee Ranaldo in “Memories of Music” da “Again” di Oneohtrix Point Never).
Conclude “Los Angeles” “Skins”, in cui le batterie (nella prima parte) fanno ancora da padrone e la voce di James Murphy da “speaker” d’eccezione, e che congeda e copre (nella seconda parte) l’ascoltatore con una “bassa” e sommessa coltre sonora.
Nelle note di copertina è poi riportata in evidenza: “Oh, night that guided me, Oh, night more lovely that the dawn”, e la notte che cala … è illuminata dalle luci di “Los Angeles”.
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