Durante il concerto Carla e Tara si sorridono sempre, si vede che sono molto amiche.
Carla ci tiene a sottolineare che non è stata Tara a farle l’occhio nero, è solo uno stupido gossip questo, ma è stato un completo sconosciuto venuto fuori dal nulla a picchiarla, a Parigi, così come racconta sul suo sito.
Alla fine del concerto lei è molto provata, frastornata, cerca i suoi cd da vendere e non vuole nemmeno lasciarsi fotografare, perché non si sente molto bella oggi, con quel livido che le copre parte della faccia che si fa nera, e verde; si vede che la musica è una cosa che lei sente molto, durante l’ultima canzone s’è quasi commossa. Il suo concerto è stato molto intenso.
Partito sfilacciato e desolato si è fatto via via più pieno, in crescendo, ma rimanendo tuttavia spigoloso, duro, e se fosse durato un po’ di più sarebbe diventato ancora più bello, ma a quanto pare Carla non può sopportare oltre un peso emozionale di questo genere, e così si ferma.
La canzone con cui finisce, da sola, è una cover di cui non ricorda nemmeno tutte le parti strumentali, confessa, e mi sembra di capire che parli di una ragazza che gira con una pistola in una borsetta, e di una mattina in cui lei si sveglia ed è sorpresa di ritrovarsi viva nella stanza di un hotel; forse perché ha passato la notte in strada, a battere. Ma forse è solo la mia immaginazione.
A vent’anni comunque anche Carla era una prostituta, lo era perché solo così poteva procurarsi i soldi per farsi di eroina, ma il più delle volte era così fuori di sé che non riusciva nemmeno a farsi pagare un pompino o una scopata, i clienti le gettavano giusto pochi spiccioli; sono cose che ha raccontato lei stessa, queste.
Poi, come sempre succede, un ragazzo si è innamorato di lei e ha deciso di salvarla; così l’ha portata in un centro di riabilitazione e le ha regalato le sinfonie di Mahler (quello amato da Bukowski, e ascoltato dai vecchietti alla fine di Coffee&Cigarettes di Jim Jarmusch), non vestiti o anelli.
Tutto quello che Carla poteva fare era ascoltare quella musica, e disintossicarsi; e anche se una volta uscita di lì non avrebbe più ritrovato quel ragazzo ad aspettarla, ormai lei era una musicista.
Le sue canzoni sono dolenti, scavano dentro; la sua è la voce di una Patti Smith più aspra, più dolorosa; nella sua musica c’è oscurità e luce, blues e perdono.
Durante il concerto un martelletto percuote le corde della sua chitarra, e le parole soffiate in un microfono giocattolo vengono risucchiate dai pick-up attraverso l’amplificatorino e cacciate di nuovo via, poi, più forti che mai.
Mentre canta Carla Bozulich sembra rivolgersi a un dio, talvolta è un organo molto spirituale a sorreggere la sua voce, che sale alta, ma poi lei abbassa subito lo sguardo, perché forse lei è una che ne ha viste troppe per sperare in un aiuto che non provenga che da se stessa; e questo lo dice la croce rovesciata borchiata dietro la sua chitarra.
Eppure quel sorriso sul palco, i suoi occhi alla fine del concerto, dicono anche che alla fine lei ce l’ha fatta, a salvarsi, e non importa se un giorno dal nulla uscirà di nuovo un tizio che vorrà picchiarla, lei saprà sempre come difendersi.
Autore: testo e foto di Lucio Carbonelli
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