Nel Principe del Machiavelli si legge: “nelle azioni di tutti gli uomini, e massime de’ Principi … si guarda al fine … I mezzi saranno sempre iudicati onorevoli e da ciascuno lodati”; da qui il celebre detto “il fine giustifica i mezzi”.
Nel 1993 il singolo dei The Jesus Lizard “Puss” (tratto dall’ LP “Liar”) fu pubblicato in 7” insieme a “Oh, The Guilt” dei Nirvana, in un’operazione che restituì il merito al grunge stesso di dare visibilità ai The Jesus Lizard; ebbene malgrado l’accostamento di genere fosse operazione e argomento alquanto azzardato (non catalogherei mai i The Jesus Lizard nel grunge), come per il Machiavelli, il fine giustificò sicuramente i mezzi; oggi, dopo trentacinque anni dalle prime pubblicazioni del 1989, i The Jesus Lizard, con il buon e sincero “Rack” (Ipecac Recordings), tornano sul mercato senza rinnegare se stessi, portando avanti il vessillo del loro credo musicale e, in ragione dei tempi e della contemporanea proposta musicale, rendono con gradita anacronistica ostinazione ancora una volta attuale il detto: “il fine giustifica i mezzi”.
- Dal 1989 al 1994: il periodo d’oro
In occasione della pubblicazione di “We Have Dozens Of Titles” dei Gastr del Sol su queste pagine si era scritto: ‘Mentre negli USA il grunge e i suoi alfieri definivano un genere ma soprattutto un “pensiero” e un “movimento”, catalizzando (con una formula musicale-estetica d’innegabile effetto) l’attenzione del mondo e di una generazione desiderosa di trovare una nuova fonte da cui dissetare la propria “identità alternativa”, gli Slint, nel 1989 danno alle stampe “Tweez” e, nel 1991, il superbo “Spiderland”, probabilmente il più bel disco della sua epoca e sicuramente uno tra i più belli di tutti i tempi …. giova rammentare che il 1991 è anche l’anno di “Loveless” dei My Bloody Valentine … ma questa è un altra incredibile storia…”; ebbene, il 1991 fu anche l’anno di un altro capolavoro che, come detto, ben poco condivideva con il grunge: “Goat” dei The Jesus Lizard (perfetto dall’eccelsa apertura affidata all’ossessiva e abrasiva “Then Comes Dudley” fino alla conclusiva e alienata “Rodeo in Jolie”, con nel mezzo tutti chiodi conficcati nel cuore come la quai Metal “Mouth Breather”, il metallico treno in corsa di “Numb”, la poetica infernale delirante teatralità di “Seasick” e “Monkey Trick”, i singulti martellanti di “Karpis”, i cambi di registro di “South Mouth”, la vorticosa “Lady Shoes”…), disco che, con il precursore “Head” del 1990 (da menzionare le prodromiche “One Evening”, “S.D.B.J.”, “7 vs. 8”, “Pastoral”, “Good Thing”, “Tight n’ Shiny”…) e il successivo “Liar” del 1992 (sul livello di “Goat” da citare le splendide “Gladiator”, “Art Of Self Defense”, “Slave Ship”, “Dancing Naked Ladies”… oltre all’eccezionale “Whirl”), era destinato a segnare un decennio.
La magnifica (non) voce di David Yow, la mirabile e multiforme chitarra di Duane Denison (tra i più ispirati chitarristi della sua generazione e non solo), il meccanico ma al contempo mobile basso di David Wm. Sims e la solida ma al contempo “libera” batteria di Mac McNeilly (entrato nel gruppo dopo il seminale EP “Pure” del 1989, registrato con formazione a tre, e in cui spiccano le mefistofeliche “Blockbuster” e “Starlet”, lo spoken dell’invocata “Bloody Mary”, il noise dell’industriale “Breaking Up Is Hard To Do”) e la “supervisione” di Steve Albini hanno dato vita a una musica trasversale, capace di lambire generi e di ispirare generi (riascoltando il singolo “Wheelchair Epidemic” dei Dick nella versione dei The Jesus Lizard del 1992, non ho potuto non pensare al successo che stanno avendo ai giorni nostri gli Idles) me sempre salda e fedele alla propria unica identità, per una catalogazione precisa che è in sostanza impossibile.
Dopo il buon EP “Lash” del 1993 (che include l’esplosiva “Deaf As A Bat” e “Glamorous”), con l’ottimo “Down” del 1994 (di pregio anche la copertina “Falling Dog” di Malcom Bucknall) i The Jesus Lizard, se da una parte mostravano di aver raggiunto una più compiuta maturità (come testimonia da subito “Fly on the Wall” in apertura di disco e con essa “Destroy Before Reading”, la meravigliosa “Low Rider”, “Horse”, “Elegy”, “The Best Parts”…), dall’altro (purtroppo) chiudevano la collaborazione con la “Touch and Go Records” e con Steve Albini per passare alla “Capitol”.
- Il periodo Capitol Records
Sotto la “major” i The Jesus Lizard pubblicheranno gli LP “Shot” nel 1996 e “Blue” nel 1998, quest’ultimo con Jim Kimball alla batteria) per un’operazione “commerciale” che coinciderà anche con una meno riuscita produzione artistica: di fatto dopo “Down” (nomen omen) comincia l’inizio della discesa e un suono che, per quanto incredibile, si “ingentilirà” e perderà di “istintività” aprendosi anche a frequenze radiofoniche: (per tutte) “And Then the Rain” docet; i The Jesus Lizard sono comunque i The Jesus Lizard e continuano a distinguersi in brani quali “Thumper”, “Blue Shit”, “Thumbscrews”, “Good Riddance”, “Trephination”, “More Beautiful Than Barbie”, “Inamorata” da “Shot” e “Horse Doctor Man”, “Eucalyptus”, “Until It Stopped to Die” da “Blue”, disco che si spinge ancora di più verso appetibili soluzioni per un più vasto pubblico come dimostrano l’orecchiabile e già citata “And Then the Rain” o la funzionale “Soft Damage”.
Nel 1998 il tempo dell’EP omonimo con la Jetset Records dietro le cui fila compaiono anche Andy Gill, John Cale e Jim O’Rourke (oltre alle note “Cold Water” e “Needles For Teeth” – qui in veste sperimentale rispetto alla versione di “Blue”- anche un’anticipatrice “Eyesore” e l’esercizio per “corde basse” ed elettronica di “Valentine”)
- Rack
Con “Rack” la formazione si “ricompone” in studio con la voce di David Yow, la chitarra di Duane Denison, il basso di David Wm. Sims e la batteria di Mac McNeilly.
Apertura con detonazione dell’LP affidata al rock & roll deviato e violento di “Hide & Seek”: la sezione ritmica affidata a David Wm. Sims e Mac McNeilly torna a picchiare, la chitarra di Denison a essere portante e al contempo a ricamare acide abrasioni e la voce di Yow a “declamare”.
Con “Armistice Day” si sprofonda nel trascinato e trascinante degrado industriale e David Yow veste nuovamente l’abito del predicatore.
“Grind” macina rock con una chitarra sopra le righe; esatto il cambio di registro e lo “svuotamento” centrale.
La cupa e notturna “What If?” è caratterizzata dallo spoken e da un mirabile intreccio di chitarra, basso e batteria.
La violenza di “Lord Godiva” (titolo che al femminile non può non richiamare alla mente la più leggendaria “cavalcata” di sempre, oltre alla splendida “Lady Godiva’s Operation” dei The Velvet Underground)è ai limiti di un Metal d’annata e chiude un ottimo primo lato.
Il Side 2 è aperto dalla riuscita “Alexis Feels Sick” che si distingue da subito per il giro di “corde basse” (marchio di fabbrica), preludio ai seguenti molteplici cambi di scena… e per un tema/riff di chitarra lancinante in uno con la voce.
Con “Falling Down”, “Dunning-Kruger”, “Moto(R)” e “Is That Your Hand?”, quasi senza soluzione di continuità, i The Jesus Lizard inanellano una sequenza di brani impetuosi, con vigoria quasi adolescenziale (“I forecast them stupid” urla “Is That Your Hand?”), che però portano anche un po’ di ripetitività, interrotta dalla bella, composita e conclusiva “Swan The Dog” che alza nuovamente il livello d’ascolto di “Rack”, lavoro discografico che se non è (sicuramente) paragonabile ai classici degli anni novanta e che se a suo modo risulta anche anacronistico, è sicuramente una gradita sorpresa per gli amanti dei The Jesus Lizard e non solo.
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