Sembra che il rock dei grandi nomi e dei grandi ritorni voglia imporsi in questo caldo autunno romano e questo è un bene purchè dopo questi agili balzi felini non si ritorni nei più sonnacchiosi torpori che i salotti di questa città pericolosamente perpetuano. Robin Proper Sheperd ama Roma e Roma generosamente ricambia. Si lascia andare ai ricordi, di quando quella volta negli anni ‘90 al Black Out decise che c’era uno dei migliori pubblici che avesse mai avuto poiché tutti cantavano le sue canzoni, di quando passeggiava con la figlia facendo osservazioni sui ‘fuckin’ McDonalds’ e così via. Davvero un gran chiacchierone sul palco, in controtendenza con personaggi che rasentano la maleducazione e che a volte neanche salutano. Una formazione di nove elementi, di cui quattro archi oltre alla consueta strumentazione rock è l’ideale per la musica di Sophia che canta sempre la stessa canzone ma che non stanca mai se la si ama. Alla chitarra elettrica in fondo al palco c’è un altro personaggio importante del rock degli anni novanta, Adam Franklin degli Swervedriver. I brani eseguiti appartengono a tutto il repertorio dei Sophia e del resto ognuno di essi deve conservare un posto speciale nel cuore di Robin che sappiamo essere un autore che scrive delle sue emozioni reali, per cui ogni canzone è un ricordo, un posto, un nome, spesso un dolore. Tra i momenti più intensi la dolcissima ‘Swept back’ e la struggente ‘I Left You’, poi ‘Living’, ‘Heartache’ e ‘Storm Clouds’ dall’ultimo album e una ‘Oh My Love’ cantata in una tonalità diversa, più alta rispetto alla versione studio. Quando dal pubblico qualcuno urla ‘So Slow’ il nostro sorride sornione mentre accorda la chitarra acustica che suonerà per tutta la serata (tranne nei due brani più forti in cui imbraccerà un’elettrica) e dice che ne ha un’altra per noi, proprio bella e triste come ci aspettiamo. Ed è ‘Directions’, da uno degli albums più vecchi, da cui sarà pescata anche la drammatica ‘The river’, torrida e piena di chitarre (anche il tastierista ne ha presa una e – faccia all’amplificatore – produce feedback che ferisce). Per i bis il patto con il pubblico era di tre canzoni, contate sulle dita della mano, ma in realtà è stata una finta o meglio non ci avevano messo in conto il gran finale elettrico quasi in stile Mogwai. Generalmente un pubblico maturo e forse anche un pò annoiato dal rock potrebbe auspicare in cambiamenti e atti coraggiosi dagli artisti che segue, ma nel caso dei Sophia di Robin Proper Sheperd, quasi ci si augura che non ve ne siano, a parte la scelta di quelle scarpette in vernice da dimenticare quanto prima.
Brilliant Disguise from The Flower Shop on Vimeo.
Autore: A. Giulio Magliulo
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