Martin C. Schmidt che soffia in un tubo immerso in una vaschetta d’acqua: è iniziato così il live dei Matmos, con tanto di microfono a riprodurre i suoni e microtelecamera che riprende il tutto dall’interno della vaschetta mentre le immagini vengono proiettate in tempo reale sul maxischermo in fondo al palco. Fedeli alla loro idea di musica organica, i Matmos hanno tratto spunto da questo sciabordio di bolle, e dal tintinnare di un campanellino agitato nell’acqua dalle dita di Martin C. Schmidt, per costruire le gocce micro-techno del pezzo che ha dato il via al loro set.
Per tutto il resto del live videoclips originali sono stati chiamati a commentare i brani scelti per la scaletta in un collage entusiasmante che ha intrattenuto lo sguardo e stimolato incessantemente le orecchie dei presenti tra tagli chirurgici, house minimale, funk stilizzato, folk digitale, marcette militari. Aggiungete a tutto questo una buona dose di (auto)ironia, da intendere per Martin C. Shmidt e Drew Daniel sia come scelta estetica che permette loro di oltraggiare e trasfigurare qualsiasi cosa (animata e non) possa emettere un suono, sia come approccio totalmente rilassato e confidenziale con il pubblico durante le loro esperienze dal vivo.
Ecco quindi che di fronte ai convinti applausi finali, i Matmos si sono di nuovo presentati sul palco per i bis ringraziando il pubblico e precisando, con un sorriso ironico travestito da imbarazzo, di essere solo loro gli unici protagonisti della serata senza Bjork pronta a fare la sua improvvisa apparizione da dietro le quinte…
Ad affiancare i Matmos c’erano Mark Lightcap alla chitarra e alla tromba e Steve Goodfriend alla batteria, due musicisti che insieme al bassista Carl Bronson si erano già fatti apprezzare in apertura di concerto con il progetto Dick Slessig Combo: il trio ha proposto tre lunghe fluttuazioni strumentali che hanno evidenziato un’interessante ricerca ritmica.
Autore: Guido Gambacorta