“Alla faccia di chi ci vuole male”: così l’eterno Keith Richards, con la solita sbruffoneria, con una frase detta in perfetto italiano, si presenta in prima persona al pubblico di San Siro, 57.000 persone di ogni età (si vedono ragazzi e ragazzine millennial nemmeno ancora nati/e quando lui aveva già 50 anni) e di ogni provenienza giunti per vedere per l’ultima volta (ma chi può dirlo davvero con questi vecchietti qua?) la più importante rock band della storia suonare in Italia, per il tour dei loro 60 anni di attività.
Era infatti il 1962 quando Mick, Keith, Charlie e il fu Brian Jones misero in piedi la band che ha fatto la storia del rock. Ronnie Wood si unì più tardi, Brian morì pochi anni dopo, e l’anno scorso anche Charlie Watts ha detto addio alla vita terrena. Ecco perché il concerto inizia con immagini di repertorio di Charlie, sostituito degnamente per quanto possibile da Steve Jordan. Ed ecco perchè Mick ricorderà a inizio concerto che “questo è il nostro primo tour europeo senza Charlie e ci manca tantissimo”.
Non sarà una serata all’insegna della nostalgia però: non si celebrano solo i 60 anni di attività, né solo il fatto che è l’ultimo tour degli Stones in assoluto: per Milano, anche il fatto che gli Stones mancavano dal 2006. La loro ultima volta in Italia infatti è stata nel 2017 a Lucca, per il No Filter Tour.
E’ insomma una festa, di quella delle grandi occasioni, che nemmeno la pessima acustica di San Siro, nota a tutti i fan del rock, può rovinare. Dell’acustica ne fanno le spese i Ghost Hounds, la band di supporto tutta springsteeniana, che fa quel che può e alla fine convince, ma l’audio si sente male.
E allora, per chi era lì come noi di Freak Out, a pochi minuti dalle fatidiche 21.15 che saranno l’orario di inizio, i dubbi potevano crescere: “Si sentirà qualcosa? Come starà Mick, bloccato dal Covid nei giorni scorsi? Ce la faranno loro, che hanno rinviato due concerti per via della malattia di Jagger, Amsterdam e poi Berna, e non suonano da più di una settimana?”
Dubbi che possono venire solo a chi conosce gli Stones per sentito dire. Dubbi dissipati dagli Stones stessi dalle prime note di Street Fighting Man: Mick e compagni, ormai è noto, sanno sconfiggere qualunque nemico, anche il Covid, perché hanno sconfitto da tempo le leggi della biologia e della natura.
Chi li vede se ne rende conto: hanno 79 anni (Ronnie un po’ più piccolo, in realtà) eppure ballano e suonano, e Mick canta, come se fossero ventenni. “Fa caldo come nel quinto girone dell’inferno”, dice Mick in italiano (parlerà molto in italiano nel corso della serata) ed è questo infatti un altro elemento in più ad avvalorare il mistero dei tre ragazzi sempiterni: come si faccia a fare quello che fanno loro a ottanta anni in una notte così non è dato saperlo, ma è possibile apprezzarlo ed emozionarsi alla grande per fortuna.
“Cinquantacinque anni fa abbiamo fatto il primo concerto in Italia, grazie di essere ancora qui con noi”, ma il vero grazie dobbiamo dirlo noi a loro, eterni ragazzi che hanno fatto il patto col diavolo (sarà per questo che sta loro simpatico, evidentemente!): dopo l’esordio, 19th nervous breakdown e Tumbling Dice contengono ancora incertezze sonore, subito aggiustate dalla regia ai suoni, perché Out of Time è già una bomba, con Mick che comincia a far muovere le braccia a onda ai 57.000 di San Siro. Tutti si aspettano a questo punto Get Off of My Cloud ma questa sarà l’unica delusione della serata: la hit, annunciata in scaletta, non viene suonata, al suo posto un’acustica Dead Flowers e poi una inaspettata Wild Horses, emozionante come sempre, fanno pensare che forse il concerto si muoverà su ritmi un po’ più lenti, vista l’età e la convalescenza di Mick. Niente di più sbagliato: You Can’t Get Always what You Want fa esplodere lo stadio, soprattutto nella parte conclusiva quando tutta la banda (compreso le coriste, il tastierista e gli altri musicisti di turno) accelerano l’esecuzione e i ritmi mentre Jagger e Wood paiono divertirsi un mondo a suonare da paura.
Segue Living in A Ghost Town, in assoluto la canzone più nuova degli Stones visto che è stata scritta nel 2019 per via della pandemia, poi è la volta di un’altro capostipite: Honky Tonk Women. Su questa canzone, il pubblico assiste a una corsa su un palco di 55 metri dell’ottantenne Mick, che dopo canta come se avesse semplicemente alzato una piuma.
Vero è che poi Jagger presenta la banda, e si prende una pausa lasciando il palco a Richards, che si scoprirà più in forma di quando lo abbiamo lasciato nel 2017: allora non convinse nell’esecuzione e soprattutto nel canto delle canzoni a lui destinate dalla scaletta, qui invece fa spettacolo col blues di You Got the Silver e ancora di più con gli acuti vocali di Connection, cantata in maniera perfetta.
Quando entra il riff di basso di Miss You tutto il pubblico capisce che siamo entrati nella seconda parte del concerto, quella esplosiva e devastante: Miss You rimane il pezzo forse meglio eseguito stasera, con uno splendido riff di basso di Darryl Jones duettato a voce con Jagger più volte sotto un pubblico letteralmente impazzito da una versione di quasi dieci minuti.
Arriva poi il blues eterno di Midnight Rambler, (e così Let it Bleed risulterà l’album più suonato stasera, con ben 4 pezzi) e dopo, un boato accoglie Start Me Up. La voce di Jagger, amplificata al massimo, troneggia persino sui cori del pubblico, e domina come il suo camminare da una parte all’altra del palco. Richards introduce poi il riff di Paint It Black, ed è un altro trionfo. Ma non è finita: c’è tempo per Sympathy for the Devil, immancabile e qui in versione lunghissima, e poi per Jumpin’ Jack Flash.
Per il bis, c’è solo da chiedersi quale brano eterno accompagnerà il finale di Satisfaction: Brown Sugar, Let’s spend the Night Together, It’s Only Rock and Roll o Gimme Shelter?
La spunta quest’ultima, che consente a Mick di duettare con la corista solista Chanel Haynes in mezzo allo stadio, grazie alla passerella costruita per far camminare gli Stones fra il pubblico del prato. E mentre Mick si spreme la giugulare per stare dietro a una voce acutissima femminile, compare una bandiera ucraina nelle immagini, ma non ci speculeranno sopra.
Piuttosto, chiudono con Satisfaction, per altri dieci minuti, col pubblico, anche quello più giovane, in delirio totale. E anche Keith Ronnie e Mick sono estasiati, perché l’Italia da sempre gli accoglie come compatrioti, e loro lo sanno.
Nei loro volti, per nulla stanchi, e all’apparenza persino ringiovaniti rispetto a quando hanno attaccato il primo pezzo della serata, compare un velo di emozione, che immaginiamo ci sarà in ogni città, in ogni serata. Sapere che stai salutando quel pubblico per l’ultima volta.
Sarà qualcosa di cui difficilmente i fan, gli spettatori dell’ultima ora, il pubblico pagante semplicemente perché in cerca di un evento, riusciranno ad abituarsi: l’assenza degli Stones dal palco fa male. Malissimo. Eppure, intanto, ancora una volta, per un’ultima gloriosa volta, il pubblico italiano saluta i tre cavalieri eterni del rock-blues, per scendere infine dalla loro nuvola che ha scorazzato per 60 anni in tutto il mondo portando riff, blues, sudore e rock a generazioni su generazioni. Ed è stato bello starci ancora per un po’, per un istante eterno che dura una serata, su quella nuvola, prima del get off definitivo. E l’unica parola che può venire in mente è solo un eterno grazie.
autore: Francesco Postiglione
foto di Elisa Schiumarini
SCALETTA SAN SIRO, MILANO, 60 TOUR, 21 GIUGNO 2022
- Street fighting man
- 19th nervous breakdown
- Tumbling Dice
- Out of time
- Dead Flowers
- Wild Horses
- You can’t always get what you want
- Living in a ghost town
- Honky tonk women
- You got the silver
- Connection
- Miss you
- Midnight rambler
- Start me up
- Paint it black
- Sympathy for the devil
- Jumpin’ Jack flash
- Gimme shelter – BIS
- (I can’t get no) Satisfaction – BIS