Serata temperata a Roma, ottimo preludio per un concerto che si prospetta “caliente”. Brancaleone che inizialmente non si presenta pienissimo, ma si sa che le notti romane sono per la maggior parte dei casi un successo e tra un’esposizione fotografica e un po’di vino i locali del Branca si riempiono di un variegato popolo che si ritrova per l’occasione a rendere questo paradossale omaggio ai guru della musica elettronica di un passato certo e d’improbabili futuri. Il “maestro”, così come lo chiama il resto della band, attende il suo momento tra il pubblico, col suo bel vestito alla “Maverick”, sorseggiando un drink riconoscibile a ettometri di distanza dato il colore rossiccio dei capelli e la sua teutonica altezza.
Ecco che all’una precisa la banda sale sul palco: Uwe Schmidt è in piedi di lato a gestire l’ensemble come un direttore d’orchestra, come strumento un laptop che di tanto in tanto sfiora con mano leggiadra, giusto per inviare nell’aria qualche campione e almeno partecipare attivamente.
Alle sue spalle parte il suono di uno xilofono. Si riconosce facilmente l’intro di “Showroom Dummies” nella sua versione cha-cha-cha! Il cantato anglo-ispanico risulta simpatico e gli eventuali assoli dei singoli strumenti sono puntualmente calibrati. Intanto la sala concerti del Branca si è riempita un po’ troppo e tentare quattro salti in pista ci risulta difficile, anche perché, a dirla tutta, l’orchestrina messa a punto da Atom Heart per la folle realizzazione del suo personale “El Baile Aleman”, si comporta onestamente, suona ed è organizzata molto bene, ma ahimé il concerto stenta a decollare.
I brani riproducono in maniera fin troppo fedele le versioni originali dei quattro di Düsseldorf. Anche il fido Brancaleone, non si è rivelato un posto poi tanto adatto per il tipo di concerto, probabilmente, un teatrino o anche qualche altro luogo all’aperto, dove c’è parecchio spazio sarebbe stato preferibile, data la circostanza.
Resta in ogni caso la curiosità data dalla “trasfusione” di determinati brani da suoni sintetici e perfetti a sonorità calde, ovvero da strumenti vivificati da esseri realmente umani. Come si fa a suonare e cantare un mambo dal titolo “The Robots”, oppure “Die Mensch Maschine” (in tedesco fa sempre più effetto!)?. Il contrasto è reso più morbido e fluido essendo l’idea di base appunto il paradosso. Assistiamo allo scorrere dei brani sempre con questa cosa del divertito si, ma non troppo: “Tour de France”, “Musique non Stop”, “Home Computer”, non arrivano invece le più attese “Radio-activity” e “Trans-Europa Express”, ma Uwe ha in serbo delle scontate sorprese e dal suo cappello magico, come dei “bianconigli”, caccia fuori una dopo l’altra, anche altri classici di differente matrice: “Riders on the storm”, “Smoke on the water” fino ad arrivare al capolinea Michael Jackson…Nel finale, durante le presentazioni e i saluti di rito, scopriamo il perché di questa auto ingolfata: degli otto presenti sul palco solo uno è sudamericano, tutti gli altri sono europei…e pure del nord….Certamente ottimi musicisti, anzi fin troppo, però, purtroppo per loro, il pregio di quest’orchestrina si rivela anche il maggior difetto: stile e sequenze troppo accademiche e poco spontanee, un mezzo “pezzotto” dall’effetto boomerang per l’uomo dal cuore atomico….
Autore: Luigi Ferrara