Catch-Flame! doppio live registrato all’Alexandra Palace di Londra in una sola notte, quella del 5 dicembre 2005 rischia di diventare nella più che trentennale carriera di Paul Weller una vera e propria consacrazione nonché di essere annoverato in prospettiva tra i più grandi ‘live’ rock di tutti i tempi .
A cominciare dai fumiganti e frenetici dieci minuti di “In The Crowd” (ripresa dal repertorio Jam) che aprono il secondo cd: sembrano un’appendice dell’epico Live At Leeds degli Who; un fiero ribadire del grande Paul in età più che matura le sue profondissime ascendenze mod, così come nella finale “Town Called Malice”, ancora Jam sugli scudi, di sfacciatissima matrice ritmica Tamla Motown, che si trasforma in un vero coro da stadio.
Terzo gioiello Jam l’indimenticabile “That’s Entertainment” (i fedelissimi in sala si fanno ancora sentire…) , una delle ballate più intense scritte da Paul in quegli anni intensi e gloriosi, qui in versione ruspante ed indurita.
Essa è posta all’interno di una sequenza di ballate da brividi tratte dai suoi album solisti degli anni ’90 e del nuovo millennio (Heavy Soul, Stanley Road, Wild Wood, Illumination, Studio 150, As Is Now) nei quali Weller ha forgiato ed approfondito attraverso versatili sfaccettature rock, soul, r&b, folk e country un inconfondibile pop moderno ma al tempo stesso ricchissimo di sapori antichi, di straordinaria intensità ed emozionante come pochi altri, sia nel coté febbrile e duro che in quello lirico e più introverso .
Si va dalla decadente ed elegiaca “You do something to me” (dalla saccheggiata Stanley Road, 1995) alla romantica e sognante “Wishing on a star” (Studio 150, 2004), dal folk intrigante ed interiorizzato di “Wild Wood” che ad un certo punto Paul lascia cantare all’audience, all’evocativa e trascendentale “The Pebble & the boy”, dall’ultimo lavoro in studio del 2005 As Is Now (come l’urgente Come on let’s go), attraversata da un’ispiratissima solista che pare disegnare la curva di un arcobaleno; dal r&b attendista di “Broken Stones”, dove il carisma soul di Weller è quantomai vicino a quello dell’indimenticabile Steve Winwood, alla lirica “Foot of the mountain”, trasfigurata qui da un’implacabile progressione elettrica .
Ma Paul e la sua formidabile band, puntuale e travolgente macchina rock (Steve White, Steve Cradock, Damon Minchella e Seamus Beaghan) non tralasciano all’Alexandra Palace nemmeno gli stilosi trascorsi Style Council, oggetto per alcuni fans di qualche perplessità. L’ipnotica e sonnolenta “Long Hot Summer” e la disinvolta gioiosa “Shout to the top”, dimostrano essere dei tasselli di passaggio gustosi anche se non imprescindibili nell’economia creativa trentennale di questo eccelso songwriter.
Raccontato praticamente tutto il secondo cd di Catch-Flame! andiamo a dire delle altre meraviglie elettriche contenute nel primo cd: innanzitutto i palpitanti estratti di As is now, “Blink & you’ll miss it” e “From the floorboards up”, nervosi e percorsi da un’urgenza mod-punk quasi di matrice Jam.
L’ineffabile beatlesiana “Savages” con tanto di mellotron, nuovo gioiello dell’ispirazione più pacata di Weller; quindi lo swing perentorio e notturno di “Paper Smile”, una sorta di intrigante blues dai fascinosi risvolti armonici.
Si torna al materiale Stanley Road con l’inossidabile inno epico “The Changingman”, quasi un autoritratto umano ed artistico, immancabile nei suoi shows.
La delicata elettro-acustica “Up in Suzes’ room” (ancora mellotron-graffiti) resuscitata dal formidabile Heavy Soul, 1997, come la torbida “Peacock Suit”.
Culmine esecutivo del primo cd la lenta e liquida epopea hard di “Porcelain God”s eseguita in medley con il torrido classico “I Walk on gilded splinters” di Dr.John/Creaux (qualcuno ne ricorda la versione di 24 minuti degli Humble Pie dell’amato Steve Marriott, sul doppio Performance Rockin’ the Fillmore del 1971?): in questi 11 minuti ritroviamo l’anima rock più bollente del Weller anni ’90, rivolta al recupero in chiave pop delle sonorità più hard della band inglesi anni ’70 ed americane di matrice southern.
Sempre da S.Road la rocciosa ed indianeggiante “Out of sinking”, anch’essa greve di smagliante energia live Who come la già citata Peacock suit .
Infine l’oasi serena e poetica di “Going Placet” (Illumination, 2002), giocata su morbidi chiaroscuri Style Council e l’estasi flower-power in salsa mod dell’energica “The Weaver”, dal capolavoro Wild Wood (1993) .
Credo che di carne al fuoco ce ne sia davvero tanta nei quasi 110 minuti di “Catch-Flame!”, da soddisfare i fruitori più ingordi.
Ma si sa, Weller non si è mai risparmiato in tutti questi anni, rifiutando fieramente lo status di icona rock acquistato sul campo, e continua in tale direzione senza cedimento alcuno .
Autore: Pasquale Boffoli
www.paulweller.com