Esiste sempre, per una band, un momento topico, durante le sue esibizioni dal vivo, in cui chi li segue da tempo (come noi di Freak Out per gli Editors) comprende che la band è “arrivata”. Ovvero che è diventata famosa, che il pubblico è lì non per curiosità o perché trascinato da amici, ma è lì per sentire loro, esattamente e proprio loro. Il pubblico conosce i testi delle canzoni, le riconosce alle prime note, salta all’unisono sui pezzi più noti.
Questo momento per gli Editors è arrivato adesso, con il live del tour dell’ultimo disco, EBM, uscito a settembre con la novità del produttore Blanck Mass ormai membro ufficiale a tutti gli effetti della band. (leggi la recensione)
Dopo 7 dischi e un Greatest Hits, il giusto numero per vedersi riconoscere quella trasformazione di cui stiamo parlando, gli Editors possono ormai essere definiti come una band mainstream che riesce a far saltare il pubblico sulle sue canzoni, perché il pubblico desidera quelle canzoni, e si aspetta, desidera e pretende che facciano proprio quelle canzoni sul palco.
Da questo punto di vista, il gruppo capitanato da Tom Smith per questo tour, con tappa italiana il 20 al Fabrique di Milano e il 21 a Bologna all’Unipol Arena, hanno messo in piedi peraltro la scaletta perfetta: 7 canzoni su 9 tratte dal loro splendido, potentissimo ultimo album, senz’altro l’album più bello fra i quattro “elettrorock” fatti fin qui e solo 2 canzoni a testa dai precedenti dischi elettronici (che a posteriori vanno interpretati come tentativi per arrivare alla messa a punto di EBM) e anzi un solo pezzo dall’immediato predecessore Violence, un disco non convincente in tutte le sue parti, e invece ben 7 canzoni tratte dai primi due dischi, quelli precedenti alla svolta elettronica, che hanno lanciato la band a livelli altissimi sin da subito nel territorio della new new wave di inizio millennio.
Questa scaletta dà già di per sé una potentissima carica al pubblico, ma anche alla band stessa, che si diverte sin dall’inizio a orchestrare i battiti di mani ritmati degli spettatori.
Peccato soltanto per la mancanza di due hit o forse tre, che avrebbero potuto pescare dalla loro discografia, ovvero A Ton Of Love, Formaldehyde e il loro secondo stupendo singolo Bullets. E peccato per non aver potuto sentire dal vivo Educate, uno dei pezzi più belli e più classicamente Editors dell’ultimo disco.
Fuori da queste eccezioni, la scaletta appare perfetta: si comincia, come previsto, con Heart Attack, primo singolo e prima canzone di EBM, che col basso potentissimo di un Russell Leetch in serata particolarmente gioviale dà la carica a tutti, mentre Tom Smith vi canta sopra nel tono più cavernoso che la sua voce può conoscere, per poi esplodere in acuto al ritornello.
Segue poi Strawberry Lemonade, altro gran pezzo del nuovo disco, e qui Elliott Williams e Bnjamin John Power (ovvero Blanck Mass) mostrano quanto la canzone anche dal vivo possieda una ritmica elettronica potentissima. Chi veleggia su tutti però è Ed Lay, chiamato alla batteria a sostituire le batterie elettroniche di queste canzoni, e per tutta la serata picchierà come un forsennato sui piatti senza perdere un colpo.
Alla terza canzone è la volta di Justin Lockey perché Bones, splendido singolo del sempreverde An End Has a Start, è una canzone vecchio stampo, in cui la chitarra elettrica nel sound tipico degli Editors la fa da padrone.
Segue poi Karma Climb, il tormentone di quest’estate delle radio rock: e il pubblico esplode, e qui appunto si capisce che gli Editors hanno svoltato: Karma Climb è già un classico per il pubblico, e per la band è una delle occasioni migliori di mostrare quanta verve hanno dal vivo.Avevamo già detto che il nuovo disco era molto fisico, nonostante l’elettronica: dal vivo sembra quasi che le canzoni le puoi toccare, complice la mimica veramente forsennata di Tom, che anche quando non canta non sta mai fermo un momento e sembra uno sciamano impazzito. Picturesque conferma tutte queste impressioni, al millesimo. E’ la volta poi di In This Light and on This Evening: il gruppo riprende fiato su un pezzo del terzo disco omonimo della band, quello che segnò la svolta elettronica, data la lunga introduzione calma a cui segue l’esplosione del suono strumentale nel finale. Tocca al quarto disco fare la comparsa: è con Sugar, altro pezzo molto fisico scelto appositamente da un repertorio fin qui nient’affatto banale. Sempre non banale è la scelta di Magazine, da Violence: infatti la band sembra voler scegliere per ogni disco solo le canzoni più potenti, più dinamiche, più travolgenti. Magazine poi viene reinterpretata in versione più rock duro, e si conclude con un finale epico sorprendente. All Sparks è a questo punto una vera chicca perché era molto tempo che dal primo disco The Back Room gli Editors non tiravano fuori questo pezzo. Si torna a EBM con Vibe, che, come One Kiss più avanti, viene reinterpretata in una versione molto meno dance e più rock e acquista valore in potenza.
Parlavamo di quel momento in cui una band dal vivo capisce di essere diventata headliner: un altro istante di questa mutazione è l’attacco di solo pianoforte di Racing Rats: tutto il pubblico la riconosce e salta in aria letteralmente, ancora prima che Tom canti, con l’eco dell’intera arena “When the time comes…”. Con Racing Rats esibita in questo modo, con il pubblico che quasi riesce a coprire gli strumenti, siamo in atmosfera da fine concerto.
Ma invece manca ancora tanto: nel mentre c’è Frankenstein, un inedito recente dal greatest hits Black Gold che ha segnato una svolta nella svolta nella ritmica degli Editors, e anche qui è pronta una bellissima sorpresa. Il pezzo rappresenta oggi dal vivo quello che gli Editors vogliono essere: perde dal vivo quel che di ironico e vagamente trasandato e dance che aveva nella versione in studio e si trasforma in un pezzo tiratissimo e tostissimo che con quei cambi di ritmo che lo caratterizzano diventa uno dei momenti migliori del concerto.
La band si prende una pausa con Nothing, suonata dal solo Tom con una sola chitarra acustica. Poi arriva il contraltare: una versione solo elettronica di All the Kings, altra scelta non banale e azzeccatissima, con Elliott e Benjamin a fare la base e Tom a cantarci stupendamente sopra.
Ora sì, è tempo per la conclusione del concerto: sale Blood, ancora dal primo disco, poi il trionfo con l’immancabile Smokers Outside the Hospital Doors, altro momento rivelatore della nuova dimensione da stadio della band.
La batteria di attacco sembra dare la carica al pubblico per una demolizione in massa dell’arena. Ma invece l’impianto regge e c’è ancora spazio per il nuovo disco, con One Kiss, per la relativamente recente No Harm, cantata un tono sopra rispetto all’originale con effetto drammatico stupefacente, e poi la conclusione con Strange Intimacy, altro pezzo dinamicamente micidiale di EBM.
Il bis, inevitabile, regala quelle canzoni vecchie di successo che in quanto band mainstream a questo punto ti aspetti di sentire: An End Has a Start, poi Munich, e infine la immancabile Papillon. Il pubblico è in delirio, e Tom comanda i cori e le mani come un incantatore.
22 canzoni in tutto, e certo potrebbe starci altro, ad esempio, lo accennavamo, A Ton of Love e Formaldehyde, più di tutte, ma anche Life is a Fear o Marching Orders, e perché no qualcuno dei lati b stupendi che gli Editors hanno imparato a far conoscere ai loro fan (da A Thousand Pieces a The Sting a Comrade Spill my Blood): tuttavia, come sopra detto, la scaletta in fondo è perfetta così e certamente Tom Smith e soci hanno dato fondo a tutte le energie e lo stesso pubblico sembra stravolto, come se fosse stato in discoteca e a Woodstock contemporaneamente.
Gli Editors hanno fatto bingo con EBM, e con questo spettacolo live così strutturato, e questo tour li porterà senz’altro a comprendere dove possono ancora arrivare e i limiti che sono pronti a superare ancora.
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autore: Francesco Postiglione
foto: Elisa Schiumarini