Scena: tornate un pochino indietro nel tempo. Avete presente l’aula di Musica delle autogestioni? Perfetto. Ci siamo. Solo che a suonare, invece del rappresentante di istituto che ripete ad oltranza gli accordi di Albachiara, ci dovete mettere Fran Healy, uno dei padri del romanticismo inglese anni novanta. Il frontman dei Travis, insomma.
Non è venuto a Roma perché ha lasciato la band, di questo assicura più volte il suo pubblico. Si tratta di un paio d’anni di pausa dice, per raccogliere energie e rilanciarsi fortificato nello storico progetto che tira avanti da ormai circa quindici anni. Alcune canzoni però nascono in testa e non le puoi spiegare con una band: è il caso di Holyday o Buttercups, il primo singolo estratto da Wreckorder, il primo album solista di Healy.
Il musicista parla dal palco del Circolo degli Artisti come se tutta quella gente, lì, che misura ogni sua singola parola, non fosse altro che un manipolo di amici piombatogli in casa. La scena è minimale: soltanto il vecchio cantore del britpop più puro e la sua chitarra, che ogni tanto perde qualche corda, costringendo Healy a fermarsi e ricominciare. Ma ogni pausa è un’occasione in più per raccontarsi ai presenti. Una storia dietro ogni canzone, dietro ogni singolo accordo. Racconta anche di aver incontrato uno strano vecchio, nei pressi del Colosseo; il vecchio gli ha regalato una nocciolina dai poteri magici che gli avrebbe permesso di parlare italiano: ed ecco che Fran Healy miracolosamente doppiato si lancia nel behind the scenes di Writing to reach you, raccontato totalmente in italiano con una grande prova di actor studio che trasforma il concerto in un piccolo assaggio di Cabaret.
Era il 1995 quando si innamorò di una ragazza e decise che le avrebbe dedicato una canzone. Cos’è che poteva piacerle? In quel periodo- racconta Fran- alla radio non si faceva altro che ascoltare Wanderwall degli Oasis: fu così che dagli accordi della canzone dei Gallagher provò a tirare fuori un piccolo alternativo inno d’amore. Quando nomina Noel Gallagher, Fran Healy si scompiglia le sopracciglia rievocando il più celebre monosopracciglio d’Inghilterra: l’atmosfera in un locale pubblico non è mai stata così intima e calda.
Il concerto prosegue con le canzoni più belle che hanno fatto la storia dei Travis: da Sing (che come ci racconta il cantante, doveva inizialmente chiamarsi Swing, se solo la lingua inglese non avesse investito la parola di un volgare doppio senso) la chitarra ripercorre le note di Driftwood, Closer, All I want to do is rock, Tied to the 90’s in un carosello romantico-nostalgico interrotto solo dalla versione acustica di Baby one more time di Britney Spears, che oramai è diventata la firma delle esibizioni acustiche di Healy. Il concerto si chiude con Flowers in the window dopo un’ora e mezza di live: la grande prova emozionale, oltre che artistica, di chi ancora crede che la musica parta dal cuore e al cuore sia diretta.
Autore: Olga Campofreda
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