Alle ventidue in punto il Circolo degli artisti non è ancora pieno. Le persone passeggiano da una parete all’altra, sparse, in attesa che qualcosa accada. È solo dopo pochi minuti dallo scoccare delle ventidue e trenta che si spengono le luci e uno strano silenzio sembra trasformare tutto in una foresta incantata, centinaia di occhi luccicanti rivolti al palco. Loro arrivano come folletti dei fiori, una alla volta, delicate, lievi. Prendono posto in fila dietro le tastiere ed electro-drum, si presentano. Le Au revoir Simone sono arrivate in Italia da Brooklyn. Questa sera, dicono, è la loro prima volta a Roma.
Attaccano subito con un pezzo leggero, dal vecchio repertorio: mentre suonano sorridono ai fotografi, si divertono ad accennare piccoli passi di danza, mentre le loro dita sottili accarezzano i tasti. La sensazione che regalano è quella di un pomeriggio di sole, con una torta di mele sul davanzale di una finestra. Così naive che neppure si sente, all’inizio, la mancanza della chitarra. Solo tastiere e batteria a sostenere le voci leggere e fatate, che mai si alzano al virtuosismo, mai scadono nel banale. Si dischiudono fresche, sottili, nella colonna sonora di un sogno.
Tra un pezzo e l’altro si divertono a chiacchierare con il pubblico. Erika ed Annie si fermano a contare quanti, tra le prime file, portano gli occhiali, mentre Heather resta più sulle sue, cupa come una bambina a cui è caduto il gelato. Poi scattano una foto dal palco. Sono emozionate, felici, ma soprattutto sincere le tre ragazzine americane che giocano a tessere insieme col suono delle trame di luce.
Onirica come un film di Tim Burton, l’esperienza dall’altro lato del palco, quella di chi le ascolta: una suggestione non casuale, evidentemente, dato che proprio il nome del gruppo è nascosto in una frase di Pee-wee’s Big Adventure, il primo lungometraggio del regista americano.
Per un’ora e un po’ alternano vecchie e nuove canzoni: stupisce la potenza elettronica di alcuni pezzi tratti da Still Night, Still Light, il nuovo album in uscita a maggio e contrasta con l’immagine innocente dei loro volti e i colori tenui dei loro vestitini. A tratti, dal centro della sala, si intravede ballare qualcuno.
Le Au revoir Simone sono brave. Hanno imparato che essere se stesse è il modo più semplice ed immediato per essere originali.
Lo è anche la semplicità, infondo.
Esplorano la strada dell’elettronica attraversando soprattutto le radici del genere, nascoste nel terreno degli anni sessanta, per impadronirsene in modo del tutto peculiare e riuscito. Niente fluorescenze, niente neon, niente pulsazioni estreme da dancefloor. Però una volta abbandonato il palco, sai per certo che pochi istanti prima lì sopra tre ragazze bambine hanno fatto poesia.
Autore: Olga Campofreda
www.aurevoirsimone.com