Una delle rassegne ormai storiche dell’estate romana è il festival ‘Roma Incontra il Mondo’ che con il suo calendario di world music si apre verso ‘altri mondi’ all’insegna della contaminazione, permettendo all’aggettivo ‘etnico’ di perdere quella sua sempre più generalizzata accezione terzomondista. E non di rado in questi incontri abbiam trovato cose di sensibilità più vicina ai nostri ascolti come Blonde Redhead (sia l’anno scorso che quest’anno) e Tuxedo Moon, proprio quelli della line-up originale, quella per cui i confini tra generi non hanno senso. Muovendosi da più di venti anni tra frenesie elettroniche e avanguardia futurista, minimalismo e musica popolare, ethno-jazz e musica colta, i Tuxedo Moon rivestono nella mia tassonomia dell’arte il ruolo di ‘moderni’, più nuovi del nuovo nella loro concezione estetica mutevole nel tempo, dal 1978, mi pare. A meno che non sia solo una mia impressione questo moto ondivago dell’arte (musica) che sempre più spesso si ricicla ciecamente e mi costringe a dire tali cose di una formazione cronologicamente davvero vecchia. Ad un concerto dei Tuxedo Moon si è ancora rapiti, come nel sogno. Anzi, ogni singolo brano sembra restituito in forma di sogno per le atmosfere eleganti e l’energia espressiva. C’è perfino Bruce Geduldig con le sue immagini improvvisate e povere sovrapposte a filmati che creano giochi di ombre su macchie di colore a simboleggiare movenze di un quotidiano immerso in un misterico isolazionismo. La scaletta della serata presenta una maggioranza di brani tratti dall’ultimo ‘Cabin in The Sky’, bellissima idea di una cabina che mette in diretto contatto con il cielo. Blaine Reininger e Steven Brown ovviamente i due protagonisti e registi di questo film, polistrumentisti perfetti e intercambiabili per i quali una chitarra elettrica e un sassofono o un pianoforte o un clarinetto quando non le stesse voci sono solo penne diverse per scrivere le loro poesie, contrappuntate dalla certezza del basso di Peter Principle e dai fiati di Luc Van Lieshout. E così scorrono in questo flusso continuo ‘Luther Blisset’ e ‘Annuncialto’, ‘Baron Brown’ e ‘Cagli’, brano che Reininger dedica alla madre e al nostro paese ormai nazione adottiva, e ‘Diario di un Egoista’ che sebbene a molti è apparsa strana assai a me ha invece divertito tantissimo perché quel testo e quel recitato ricorda un pò un Tom Waits mitteleuropeo. E poi esecuzioni di classici come ‘Desire’ e ‘Dark Companion’ dal repertorio vecchio, un accenno di ‘No Tears’ al piano solo per scherzare e le bellissime ‘Again’ e ‘The Cage’ per ammaliarci ancora una volta in questa notte di principio estate sotto questa luna… in frac.
Autore: A.Giulio Magliulo