Al festeggiamento del trentennale del ’77, Daniele Sepe non ha potuto esimersi. Cresciuto nei caldi anni ’70, da buon comunista, oggi ha necessariamente un atteggiamento cinico, ma non distaccato, rispetto agli avvenimenti storico-politici di quegli anni, e soprattutto al cambiamento della nostra società in questi tre decenni. L’omaggio a quel fatidico anno oltre ad essere cinico, è al tempo stesso ironico e riprende di quegli anni lo spirito dissacratorio, dunque, traspare anche una vena punk-demenziale. Questo proprio a partire dalla copertina, un omaggio ad una delle riviste migliori di quegli anni “Il male”. Anche la musica ne ha risentito, quindi niente suoni etnici, né jazz, a parte i riferimenti a Miles Davis di “Napoli centrale”, ma tante sane schitarrate con omaggi all’hard rock e al punk. Il cd è in pratica un concept album, dato che comincia con il risveglio dal coma, dopo quasi trent’anni di un ex attivista dell’Autonomia, che risvegliatosi si ritrova in un mondo di merda. Il coma è la metafora del rincoglionimento sociale nel quale stiamo vivendo e il musicista napoletano se la prende anche con la classe operaia che, forse, è stata la prima ad addormentarsi e ad entrare in coma. “Spingere il movimento/verso la lotta armata/portarlo oltre ogni limite/che grande bastardata”, in queste prime frasi di “Bianco e nero”, che seguono un cut up sulla morto di Moro, sono racchiusi: rabbia, frustrazione, voglia di non piegarsi e consapevolezza della sconfitta. Tra i bersagli di Sepe c’è ovviamente la televisione, essenziale strumento del potere, per addormentare le coscienze. Particolarmente caustica è “Zut/a/traverso”, dove su un funk circolare Sepe sintetizza la confusione nella quale il potere ha avvolto la popolazione, o meglio, le masse, in questi trent’anni, a partire dall’insabbiamento delle stragi di stato, fino al “demo-fascismo” e al fatto che “tanto il passato nun ce sta’”. Dall’altra parte Sepe omaggia la spinta libertaria di quegli anni nel blues di “Guzzi falcone”. Il finale poi è dedicato al sogno, al mito, al Che con “Hasta sempre” caratterizzata da una chitarra in stile Santana. Come sempre geniale e penetrante, Sepe ha trovato il miglior modo di ricordare il ’77 e di descrivere il dramma di questi mala tempora.
Autore: Vittorio Lannutti