Vale la pena cominciare dalla fine perché la fantasmagorica rilettura della bjorkiana Human Behaviour racchiude in sé tutta la fantasia e l’originalità dell’arte spontanea di Maria Pia De Vito.
Il pubblico e l’orchestra del Parco della Musica assistono attoniti alla creazione di suoni, di ritmi ed armonie che la vocalist partenopea costruisce partendo dal nulla, attraverso la manipolazione elettronica della sua voce, filtrando e suonando se stessa in un rimbalzo di concessioni a metà strada tra le regole non scritte di un gioco infantile ed il fuoco ardente di un ritmo sanguigno dal sapore nomadesco.
Questo dopo che per circa un’ora e mezza la stabilissima orchestra diretta sapientemente da Maurizio Giammarco ha accompagnato la De Vito in una pesca nel songbook europeo sfogliandone diverse pagine; da quelle scritte dalla nostra Marcotullli a Sting, da John Taylor a Django Bates, con gusto e adesioni stilistiche sorprendenti, per quello che si è rivelato un esperimento riuscito.
Non era facile coniugare il meccanismo preciso e scandito della PMJO con le iperboli stilistiche della De Vito ma, grazie alla flessibilità degli interpreti sul palco e l’inclinazione al reciproco stimarsi, si è potuto assistere ad uno spettacolo al tempo stesso vario e compatto.
Due belle ed affermate realtà, fuse in una grande serata; un occasione che c’ha fatto apprezzare quel jazz italiano sempre più affacciato all’Europa e ben piantato sulla strada di quello che accadrà.
Autore: Roberto Paviglianiti