Negli anni 60, nei più svariati angoli del Mondo, cominciò a diffondersi tra i giovani il morbo ribelle del rock’n’roll, in particolar modo dopo la c.d. ‘british invasion’ ad opera degli agguerriti Rolling Stones, Yardbirds, Beatles, Who, Kinks, Them e Small Faces. E se molte giovani band, ai quattro angoli del Pianeta, si esercitavano in buie cantine rifacendo copia conforme le canzoni dei famosi idoli americani e britannici – al limite traducendone i testi nella propria lingua – bisogna dire che alcune volte il beat veniva anche reinventato e piegato alle tradizioni musicali e alla strumentazione popolare di ciascun luogo, con risultati interessanti e dunque non soltanto folcloristici, che vale la pena di approfondire. Musica dunque da prendere sul serio persino per un’indagine in chiave storica, particolarmente laddove censura e tradizioni conservatrici reagirono a questo nuovo linguaggio giovanile ostacolandolo più o meno duramente.
Dopo un primo episodio dedicato al garage psichedelico in Turchia che potete recuperare qui: www.freakout-online.com/primopiano.aspx?idprimopiano=55, continuiamo il nostro viaggio negli anni 60 con la seconda tappa che ci porta in Asia: per la precisione in Cambogia.
Prima un po’ di storia: la Cambogia, dopo la II Guerra Mondiale visse un trentennio di sostanziale tranquillità sotto la guida di una monarchia filoamericana, che non ostacolava il diffondersi dei nuovi ritmi musicali occidentali; questo periodo artisticamente florido terminò a causa della Guerra nel vicino Vietnam, in cui la Cambogia venne suo malgrado coinvolta. La monarchia si compromise agli occhi del popolo sostenendo gli americani, e subì la terribile rivoluzione dei Khmer Rossi, sanguinarie milizie popolari maoiste dalle quali persino i Vietcong presero ad un certo punto le distanze, quando si resero conto di non poterle più controllare. I Khmer, iniziarono in Cambogia una dittatura (1975-1979) che portò al genocidio di 2 milioni di dissidenti e al divieto di ogni forma di modernità e deviazione borghese, pena la morte; ovviamente anche la musica venne proibita, come si vede nel breve documentario ‘Don’t Think I’ve Forgotten’ e, come scrive il critico americano Kevin Nutt: “quando i ‘commies’ riuscirono ad entrare nella capitale Phnom Penh, nel 1975, per prima cosa ammazzarono tutti i musicisti, rovinando così una bellissima festa”.
La festa cui si riferisce Nutt è la stagione del rock’n’roll cambogiano: una miriade di gruppi musicali che negli anni 60 spuntavano dovunque nel Paese, ed in particolar modo nella capitale, e che si esibivano nei tanti locali frequentati da turisti stranieri in cerca di divertimento, da potenti locali inebriati dal fascino dell’Occidente conosciuto attraverso il cinematografo, e dalla nuova gioventù borghese della Cambogia.
Nel 1996, l’etichetta Parallel World rec. ha pubblicato una notevole retrospettiva bootleg in 6 CD, pubblicati separatamente, su quell’epoca d’oro del pop asiatico, intitolata ‘Cambodian Rocks’ ed assemblata abbastanza bene – ma senza pagare royalties alcuna agli eredi dei musicisti – da tale Paul Wheeler. Pare che 15 anni fa Wheeler sia riuscito a scovare queste registrazioni d’epoca per puro caso: durante un viaggio in Cambogia, in una gita verso il sito archeologico di Angkor, il conducente dell’autobus su cui stava viaggiando Wheeler suonava nell’autoradio queste misteriose musicassette che attirarono l’attenzione di Wheeler, il quale successivamente andò a caccia di qualche copia sulle bancarelle: gli fu detto che quella musica era conosciuta come ‘circle dance music’ e risaliva al periodo precedente la dittatura.
I CD di ‘Cambodian Rocks’ vol.1-6 ripropongono le musicassette che Wheeler riuscì a procurarsi in Cambogia, ma sulle copertine non sono riportati nè i i nomi degli artisti, nè i titoli delle canzoni, o perchè di quell’epoca anche la memoria è andata perduta, o più probabilmente per non dover pagare royalties agli eredi dei musicisti, e qui di seguito andiamo ad analizzare il primo e più famoso di questi 6 dischi.
Una caratteristica che emerge immediatamente dall’ascolto, è il ruolo centrale che le donne avevano nel beat cambogiano: moltissime band si avvalevano infatti di vocalist femminili, che con le loro vocine infantili su musiche fracassone rendevano le canzoni piuttosto buffe, ma al contempo davano alle registrazioni un tocco di gentilezza. L’abbondante uso di chitarre fuzz e wah wah, e dell’organo hammond, riportano in effetti ad atmosfere occidentali, mentre le voci dei cantanti, sempre in lingua Khmer, rendono i pezzi molto esotici. Seconda caratteristica è l’estrema varietà degli elementi musicali presenti nelle performance: dal morbido doo-wop a più voci all’R&B, dalla psichedelia acida alle percussioni cubane, da accenni surf al folclore indocinese, il tutto sempre condito da un sano senso dell’umorismo. Ma ad ogni modo il CD contiene tutte tracce originali, e solo la traccia 13 tradisce un vago plagio di ‘Gloria’ dei Them.
Tra i protagonisti del CD ci sono le quattro stelle del rock cambogiano anni 60, tutte barbaramente uccise dal regime di Pol Pot con la sola colpa di essere musicisti: la dolce Ros Sereysothea, sulla cui tragica vicenda è stato girato in USA un film intitolato ‘The Golden Voice’, la star maschile assoluta Sin Sisamouth, a lungo detenuto, torturato, e infine giustiziato [della sua agonia i compagni di prigionia forniscono un tragico resoconto: ki-media.blogspot.com/2006/04/memories-from-khmer-rouge-era-murder.html, la cantautrice Pan Ron, con circa 100 canzoni autografe in repertorio, della cui fine invece non se ne sa nulla, e So Savoeun, che riuscì a salvarsi fuggendo in Francia, dove ha continuato a cantare.
Paul Wheeler, riscopritore di questa musica, prova anche a spiegarne il fascino: “La cultura rock ama le cose oscure e misteriose, e spesso le custodisce gelosamente. Per il momento poco si conosce di questa musica, e ciò contribuisce a renderla ancor più affascinante per noi appassionati”.
Cambodian Rocks può essere acquistato per posta tramite internet, o scaricato attraverso siti peer2peer come Soulseek.
Autore: Fausto Turi
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