“Ricordi Fuoco Fatuo, tutti quegli oggetti? Sfere, cubi, qualcosa da afferrare, una pistola al fine” .
Questa citazione dei Massimo Volume (precedente progetto musical-letterario di Emidio Clementi) per testimoniare di una musica sostanzialmente fatta di oggetti sonori, ognuno con una propria posizione nello spazio ed un proprio design. Più che melodie ed armonie: oggetti e spazi.
Una musica pertanto autenticamente elettronica, suonata da campionatori, synth analogici, piatti e minidisc da dj. Il miscuglio è umanizzato dall’evocativo suono di un harmonium indiano venuto nientemeno che dalla città natale di Ghandi, oltre che da vecchie tracce di vinile utilizzate con gusto da Massimo Carozzi come batterie elettroniche, e soprattutto dalla voce di Emidio Clementi.
Tutte le parole di Stanza 218, il loro esordio discografico uscito un anno fa e fattosi strada tra gli amanti di questo strano miscuglio tra sincopato ultraminimalismo musicale e reading grazie al passa parola.
Rispetto al minimal tutto cigolii e battiti corrotti del disco, il live si mostra pieno di idee ed ambizioni, formandosi di un campionario sonoro immensamente stratificato (e stratificabile), studiato e ristudiato a tavolino, mentale. Un flusso sonoro colmo di asperità, finte e false partenze. Spezzettamenti ed implosioni al servizio delle storie di vita che sembrano ognuna una scena di un film, dette (prim’ancora che recitate) dalla voce di Clementi. Storie di un viaggio a Tangeri, Marocco, passato ad osservare quello che succede sotto il sole (“non c’è niente di nuovo sotto il sole”), a perdersi nei bar della città vecchia, o chiuso in una stanza d’albergo dalle pareti turchesi ad elaborare lutti e distanze.
Una musica così fredda riesce a farsi torrida a contatto con i testi.
Numerosi riferimenti formali ai racconti di Carver (“Fino in Fondo”). Quello che in una poesia di Sanguineti è ironico ed arguto, nelle parole di El~Muniria diviene solenne paradigma di un abbandono. (“Ma se mi stacco da te mi straccio tutto/ col mio meglio/ e il mio peggio, che mi rimane appiccicato come un olio denso…”). Il Caldo opprimente, l’aria asfissiante, il sudore che pizzica sulla pelle sono invece diretta emanazione di Albert Camus .
Verso la fine del concerto, in un momento di silenzio, Clementi dice: “Erano 15 anni che aspettavo questo momento. Non avevo mai suonato a Napoli prima d’ora.”
Autore: PasQuale Napolitano