Si presenta agguerrita, con look elettrico anni ’80, pantacollant neri attillatissimi e canotta argentata, truccatissima e capelli tinti svolazzanti, l’ultimo grido del jazz-pop-soul americano, la cantautrice Joan As Police Woman, al secolo Joan Wasser.
Non ancora famosissima, gode però di grossa stima e tanti apprezzamenti nel circuito della musica di nicchia (pur se non alternativa), che si è allargato in questi giorni al pubblico italiano dei vari myspace.com e lastfm.com, dove i fan si sono mobilitati per andare a vederla a Roma, Napoli, Firenze, Milano, Rimini.
Il 25 era al Duel Beat di Napoli, ben motivata, che ha apprezzato il suo stile innovativo, frutto delle partecipazioni a nomi come Scissor Sisters, Lou Reed, Nick Cave, Sheryl Crow, Sparklehorse, ma anche a gruppi meno conosciuti come The Dambuilders, Black Beetle e Those Bastard Souls, oltre che Antony e Rufus Wainwright.
Quello di Joan è essenzialmente un soul-pop reso moderno da un po’ di elettronica (alla quale ha però del tutto rinunciato dal vivo, preferendo presentare i pezzi nudi e semplici nella loro struttura elementare di voce piano basso e batteria) e da contaminazioni frutto delle sue tante collaborazioni.
Sorretta egregiamente da Timo Ellis al basso (bellissime le sue evoluzioni e gli effetti applicati allo strumento) e Parker Kindred alla batteria, la frizzante Joan ha regalato due ore circa di concerto nemmeno troppo breve considerando il suo repertorio limitato per ora a due soli album, Real Life, l’esordio rivelazione, e To Survive, l’album della conferma che è presentato in questo tour.
Comincia subito proprio con Honor Wishes e la dolce To be Loved, tratte dall’ultima fatica, per poi lanciare subito un suo “classico”, The Ride, dedicata a Whitney Houston, dove mette subito in mostra le sue potenzialità vocali.
Alterna sapientemente da vecchio e nuovo Holiday, To Be Lonely, la stupenda Feed the Light, la dinamica Hard White Wall, We don’t Own it.
La scelta dei pezzi è sapiente: si susseguono i pezzi al piano più lenti e classicheggianti come Start of My heart, a pezzi più “rockettari” che prevalgono nel finale, quando Joan concede Magpies, una velocizzata I Defy, per finire poi in bellezza con le sue hit più riuscite, Christobel, la splendida Eternal Flame (suonata alla chitarra e non al piano come nella versione su disco) e chiudendo con To America, dedicata, tanto per essere politically correct, al presidente Obama. C’è ancora spazio per un bis non previsto, poi Joan si concede al pubblico con grande disponibilità per foto e autografi.
Look aggressivo, si diceva, vagamente femmino-punk, ma carattere dolcissimo e grande disponibilità verso il pubblico, mostrata anche durante il concerto, con frequenti battute e dialoghi con le prime file, con sorrisi di grande dolcezza, e una gioia sincera nell’esibirsi che magari negli artisti più famosi non ritroviamo proprio tutti i giorni.
E’ certamente un talento da tenere sott’occhio, una garanzia di ricerca musicale di qualità che non si perderà nemmeno se dovesse approdare nel grande circuito mainstream.
Al quale però Joan sembra preferire le atmosfere rilassate della musica per soli intenditori, l’intimità dei concerti nei locali chiusi, il clima confidenziale di un piano elettrico melodico, ma dalle trovate armoniche sorprendenti.
E non saremo noi a darle torto.
Autore: Francesco Postiglione
www.joanaspolicewoman.com