Partiti alla buon ora da quel di Napoli, arriviamo a Bologna che Nick Oliveri ed i suoi MONDO GENERATOR sono già sul palco. Tempo una canzone e Mark Lanegan raggiunge l’ex compagno dei Queens Of The Stone Age per un paio di brani, compresa una bella versione di “Auto Pilot”, brano appartenente al repertorio delle “regine” come, del resto, anche la conclusiva “Tension Head”, eseguita però dal solo barbuto bassista alla voce. Dopo il consueto cambio di strumentazione, è la volta della MARK LANEGAN BAND. L’allampato spilungone statunitense, sulla scia delle recenti collaborazioni (Queens Of The Stone Age, Greg Dulli, Isobell Campbell) ha presentato un set che ha alternato momenti più tirati, le recenti “Metamphetamine Blues” e “Sideways In Riverse”, per esempio, appartenenti al nuovo bellissimo album “Bubblegum”, ad altri maggiormente intimi (“Creeping Coastline Of Lights”, “I’ll Take Care Of You”, “One Way Street”, “Pendulum”), tratti dai suoi precedenti lavori. Un’esibizione altamente emozionante, comunque, peccato solo per l’ora scarsa di durata. A confronto, gli imberbi THE LIBERTINES che lo hanno seguito in scaletta, sono risultati ancora incerti. Difficile stabilire quanto la mancanza di Pete Doherty abbia inciso su tutto ciò, ma la scapigliata combriccola inglese, dal vivo, è sembrata poco incisiva. Non che gli manchino i numeri (la giovane età, da questo punto di vista, gioca a loro favore), però manca al momento quel quid che gli eviti il rischio di essere l’ennesima meteora britannica, o l’ennesimo bluff montato dalla stampa specializzata. Dal canto loro si confermano molto più di una giovane band di belle speranze i FRANZ FERDINAND. I ragazzi si Glasgow nel giro di dieci minuti scatenano il putiferio, sotto al palco. Del resto è davvero molto difficile stare fermi davanti alla tiratissima “Take Me Out”, ai riff infuocati di “Jacqueline” e “Cheating On You”, al dance-rock di “Auf Achse”, al ritornello in levare della meravigliosa “This Fire”. I Franz Ferdinand suonano compatti e precisi, si divertono come matti e divertono il pubblico come ogni vera band rock ‘n’ roll dovrebbe essere in grado di fare. I puristi potranno storcere il naso per quando siano sfacciatamente cool, per quanto siano diventati di moda, per quanto li si consideri “il fenomeno della stagione”, mentre una volta tanto potrebbero pensare semplicemente a divertirsi. Godiamoceli finché si ritroveranno in tale stato di grazia. Alle ventitre-meno-qualcosa gli occhi sul palco sono tutti per i SONIC YOUTH, headliner indiscussi della serata. Data unica in Italia, conseguente bagno di folla (proveniente un po’ da tutta Italia) in adorazione. Poche rock band possono permettersi, come loro, di iniziare il concerto con un pezzo lento. Kim Gordon sussurra la dolce “I Love Golden Blue” e tiene col fiato sospeso le migliaia di persone che le stanno di fronte. “100%”, uno dei rari “classici” in scaletta, invece, è una scarica di adrenalina che scuote i corpi e le menti, attraversate dai riff secchi e dal solito sound esplosivo. La coda della bellissima “Patter Recognition” è il solito delirio di feedback e rumori, con Thursthon Moore che tortura la sua chitarra trascinandola per il cavo come un cagnolino al guinzaglio, strusciandola sui monitor, scendendo tra le prime file e facendola passare tra decine di mani. Lee Ranaldo nel frattempo scatta foto (!) e pensa bene dal canto suo di procurare disturbi alle sue sei corde passando il manico della chitarra tre le gambe di Jim O’ Rourke (!!). Ma è lo stesso Moore a porre fine al caos, facendo partire le prime note di “Unmade Bed”.
“Teenage Riot” manda ovviamente in delirio il pubblico, anche se – in verità – l’impianto (o il fonico?) fa le bizze, e il suono dei Nostri esce un po’ “ovattato”, “oppresso”. Peccato. La parte centrale del concerto, vuoi per i suddetti problemi di suono, vuoi per la scaletta incentrata sul non entusiasmante (da riascoltare con calma, comunque) nuovo disco, risulta un po’ pesante e non particolarmente emozionante. Molta più energia nel finale, con il sound finalmente esplosivo al punto giusto e i Nostri che si lanciano in una meravigliosa “Drunken Butterfly”. Gli occhi sono tutti per Kim che, splendida, balla e saltella come una bambina. L’unico bis è costituito dalla lunghissima, ipnotica “Rain On Tin”, perfetta lezione di equilibrio tra armonia e rumore, forma canzone e dilatazioni noisy. Un’istituzione più che una band, eppure tanto poco incline a semplici auto-celebrazioni da proporre soprattutto materiale nuovissimo, piuttosto che raccogliere facili consensi infilando una hit dopo l’altra. Una gran bella giornata di ottima musica, in definitiva. Peccato solo per la defezione all’ultimo momento dei dEUS. Sarebbe stata davvero la ciliegina sulla torta…
Autore: Luca Mauro Assante / Daniele Lama