Molto spesso si legge di report di festival descritti come un diario personale dell’esperienza vissuta oppure quando si ha fortuna, il diario diventa agenda in cui sono annotati orari affiancati da un minestrone di nomi di band snocciolate o liquidate secondo impressioni e derivata terminologia.
Spesso va a finire che il recensore-protagonista si sostituisce alle band e diventa primo attore.
Ci piacerebbe in questo caso, almeno in un momento iniziale, dare maggiore spazio alle riflessioni che sono emerse dalla nostra presenza a Castelbuono, magari far affiorare determinati aspetti dato che in qualche maniera, le regole del gioco stanno sul serio cambiando e francamente siamo anche noi della convinzione che lo sviluppo economico e culturale di un territorio passa anche attraverso l’emancipazione di avvenimenti di questo genere. Se l’iniziativa diviene missione e le intenzioni sono del tipo “Ogni sforzo è proteso per migliorare tutto, dalla musica a una singola buca di asfalto”, allora non possiamo che augurarci ulteriori sviluppi, anzi, già assicuriamo che per molta gente accorsa nel profondo sud per la manifestazione, la Sicilia e le sue svariate ricchezze sono già state la primissima scoperta.
Dopo che per decenni abbiamo assistito alle sorti fortunate di festival in località monsoniche tra diluvi universali, fanghiglia perenne e sabbie mobili, i nostri dolori cervicali assoggettati alla crisi finanziaria globale e sociale d’inizio millennio, la più dura degli ultimi ottanta anni, hanno finalmente reso possibile lo sviluppo tangibile di un festival estivo finalmente anche in Italia.
Allora molti i giovani che complice l’altissimo spread sono costretti a un gran taglio da “spending review” su vacanze e soggiorni all’estero, effetto che, ecco, va a tramutare cambiamenti nelle possibilità dirette, porta un’alterazione nei modi di fare e genera nuove opzioni. Pertanto, il mortificante declino economico dell’occidente e la mutazione di abitudini a velocità straordinaria, hanno portato in qualche modo a riscoprire alcune consuetudini spesso sottomesse al fascino estero cosicché la “scesa” verso l’isola dai tre promontori diventa alternativa convincente con la spinta di ben due festival, uno a nord e l’altro a est, entrambi nel rapido giro di pochi giorni.
Alla deliziosa cornice della località siciliana si associa un cartellone di anno in anno sempre più considerevole. Il festival circoscritto in roventi pietre medioevali cresce come il numero delle edizioni e delle esperienze affinando pertanto la scelta di un cast ponderato, che analizzato, riporta tre elementi fondamentalmente fruttuosi:
a) avere in programma il nome prestigioso/cavallo di battaglia;
b) band internazionali affermate con disco in promozione o progetti di vecchie glorie antitetici alle reunion;
c) individuazione e proposta delle giovani band dalla primavera, prossime protagoniste dell’immediato futuro dello scenario nazionale ed estero….va aggiunto che nessun musicista può suonare due volte all’Ypsig con lo stesso progetto…
In genere un buon festival è il termometro di una scena musicale, un’ottima rassegna invece anticipa o annuncia lo scenario che sarà nei mesi a venire.
I prezzi dei biglietti/abbonamenti sono reputati concorrenziali e soddisfacenti da molti anche se spesso si affronta il ragionamento del festival a più stage. Questa sorta di “modello europeo” è sì format vincente, ma sinceramente con un solo palco la scelta per il pubblico è obbligata e le serate sulla collinetta della vecchia Ypsigro sono trascorse ad ascoltare musica, anche con una certa attenzione, piuttosto che traversare continuamente l’area del festival e fare zapping da un punto all’altro come cambiare smaniosamente, senza attendere la fine, più video su Youtube.
I clienti abituali di Festival in giro per il mondo hanno altresì gioito che per quest’occasione non hanno conteso il divertimento con pioggia, fango, umidità, alimentazione precaria e prezzi alti.
La mattina si va a mare a Cefalù e la sera si trova sollievo dall’umido nell’incantevole Parco delle Madonie.
Il palco è però infuocato in ogni istante, per la calura estiva di giorno e per ogni riff di chitarra dopo le 21,00 circa e per tre sere, cariche della più spontanea empatia…e badate bene, è quello stesso caldo avvolgente e sfiancante a rendere il tutto così magico.
Cronaca dei Live
I live dell’Ypsigrock Festival 2012 si aprono con la nuova generazione indie italiana, quella che in qualche maniera sta tagliando i legami con il passato e con il vecchio rock italico a favore, giustamente, di produzioni che si allineano perfettamente ai circuiti internazionali.
L’ouverture del venerdì 10 agosto è affidata all’americanissimo alt-folk dei siciliani Gentless3 seguiti dai giovanissimi Altre di B, entrambe le band con i VeneziA, sono i vincitori del contest promosso dall’associazione Glenn Gould “Avanti il prossimo…2012”.
Il collettivo bolognese, con le sue frecciate punk, riesce a indurre la giusta energia al pubblico come preparazione alla successiva esibizione degli Of Montreal anzitempo in luogo dei Trust che hanno dovuto annullare tutto il tour. La performance della band di Athens, Georgia, è un tributo convinto al glam-rock. Il collettivo capitanato da Kevin Barnes riserva alla platea una scaletta comprendente un po’ tutti i classici dal proprio repertorio a colpi di pop-psichedelico, includendo seppur in minima parte anche l’ultimissimo “Paralytic Stalks”.
Molto attesi in chiusura, Stephen Malkmus & The Jicks vanno lievemente a stemperare l’andamento frenetico di questa prima giornata. Chi nostalgicamente si aspettava i Pavement, evidentemente è rimasto deluso, anche se gli statunitensi dilettano il pubblico con un delizioso sound indie ’90-oriented e sul finale con la cover di “LA Woman” dei Doors e una bella versione di “Summer Babe” della band madre di Malkmus, riescono a ristabilire una sintonia anche con i più esigenti e tradizionalisti.
Il giorno seguente, sabato 11 agosto, le sonorità sono veicolate verso l’elettronica.
Si dà inizio con il vivace punk funk dei Did, autentica promessa dance italiana dai buoni propositi ma che tuttavia deve formare carattere e scegliere una direzione propria soprattutto a un sound che risulta essere estremamente riconducibile.
Appena dopo i torinesi ecco presentarsi sullo stage gli Shabazz Palaces, il gruppo rap della Sub-Pop conteso quest’anno da diversi festival europei. Il duo di Seattle esce dalla logica soundsystem, suona estremamente percussivo, quando non elettronico, ammiccando continuamente al dub con gli spettatori che si lasciano coccolare dal soul appoggiato ai bassi compressi e alle sonorità dall’album “Black-up”, fino a che non giungono i We Were Promised Jetpacks per quaranta minuti di vibrante wave / post-punk.
Headline della giornata affidata ai Fuck Buttons: ritmica calzante, chip tunes e bit-rate dimezzati, suono decompresso, alta soglia di rumore fino al caos controllato…
Inutile nascondere che l’ultimo giorno vede affollare maggiormente la collinetta di Castiddubbonu.
Un concerto dei Primal Scream in Italia è un evento e come tale ha attirato persone da ogni parte della nazione. Prima dell’esibizione di Gillespie & Co. è toccato a due band che stanno facendo parlare molto di se in Europa. Gli Alt-J fondono fasi di limpida wave a passaggi cantautorali e ricorrendo parzialmente a sfumature elettroniche così da dare linea di continuità ai successivi Django Django, tra le più felici esibizioni del festival.
I ritmi in crescendo e la ricetta rock/wave a fasi alterne elettronica/dance-oriented, suggestionano e seducono la platea o la rendono una immensa e umidiccia discoteca a cielo aperto…
Scocca l’ora X e subito si ha l’impressione che quell’agitato di Gillespie, la Sicilia, l’ha presa piuttosto bene perché sul palco mostra una preparazione atletica pre-olimpionica, con tanto di clamorosa incespicata.
In verità tutta la band pare in netta forma, i Primal Scream subito decollano, un istante e già sei proiettato nel vivo della performance.
Sul palco tre chitarre a scatenare tifoni di aria calda: “Loaded”, “Movin’on up” e “Come together” sono reduci fresche dal tour di “Screamadelica” dello scorso anno.
Un paio di inediti per l’album in corso d’opera tra i deliri rock-stroboscopici di “Accelerator” e “Swastika Eyes”, pause di considerazione per abbracciare fidanzata con “Higher than the Sun”, la semplicemente fantastica “Slip inside this House” con scatenamento totale-adolescenziale sul finale con “Jailbird” e “Rocks”.
In conclusione, se consideriamo com’è frammentata e “belligerante” la scena italiana e soprattutto la differenza che corre al solito tra Nord e Sud, allora dobbiamo solamente essere contenti che festival del genere, come l’Ypsigrock e il Neapolis, sono arrivati tanto avanti nelle edizioni.
Nonostante i cambiamenti, le crisi, le mode, le abitudini e le polemiche, queste manifestazioni resistono ancora con la carica propositiva, lo spirito costruttivo e passione contraddistinti proprio negli anni.
Elementi o valori che si spera, al di là dei contenuti o della band cool di turno, siano a loro volta trasmessi per contribuire a invertire l’andamento altalenante degli ultimi anni, sia sotto il punto di vista musicale sia sociale.
Autore: Luigi Ferrara e Valeria Manfra
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