Il concerto dei Mogwai é un’esperienza mistica. Soprattutto se é la prima volta che li senti dal vivo, come é questa per me. Tento di descriverla, anche se sará difficile… E’ come rimanere sospesa in aria un’ ora e mezzo senza pausa e, nel frattempo, ripercorrere tutto lo spettro di sensazioni che é capace di provare un essere umano. Puoi entrare essendo una persona, uscire ed esserne un’altra, totalmente differente. Ecco, credo che questo sia tutto.
I Mogwai sono imprevedibili e implacabili. Il modo in cui passano repentinamente e senza preavviso da dolci melodie a puro e semplice rumore spaventa. In questo modo mantengono sempre alta l’attenzione, portandoti per mano dalla disperazione alla gioia. Dopo un quasi passato inosservato Malcom Middleton, che, solo con la sua chitarra, ha intonato canzoni di una dolcezza e malinconia inmensa (vedi “Crappo the clown”…) i 5 ragazzi di Glasgow salgono sul palco.
Una sala bellissima per loro, un pubblico numeroso, ma non troppo e sicuramente appassionato e consapevole.
In apertura di concerto, le brutali “Kids will be skeletons” e “Killing all the flies”, seguite da “Hunted by a freak” e “Ratts of the capital” dall’ultimo album “Happy songs for happy people”, che, a mio parere, rende molto di più dal vivo. Le luci a strobo, tanto piú forti quanto piú i toni si fanno alti, amplificano la tensione. Il pubblico li segue da lontano, applaude poco, ascolta in religioso silenzio. Verso metá concerto gli scozzesi ci regalano una bellissima “2 rights make 1 wrong”, da “Rock Action”, con un finale più distorto del solito e struggente come non mai. Ed io ne approfitto per regalare un pensiero a chi mi ha fatto conoscere e amare questo rumore…
Confortante ascoltare “Ithica 27 0 9”, “You don´t know Jesus” e “Helicon 2”, suono allo stato puro, e “Sine wave”.
Infine, bis con “Mogwai fears Satan”, classico, dal non dimenticato album dei loro inizi, “Young Team”. I suoni cupi e i rumori implodono, li senti fin dentro lo stomaco, i timpani quasi fanno male… Vien voglia di piangere.
Chissá forse sono stati gli alti e i bassi, le distorsioni, l’ipnotismo e la sensazione che il tempo non passi mai a lasciarmi completamente sconvolta. I “crescendo” impeccabili, il suono ogni volta piú opaco, maestoso, orchestrale, non lasciano spazio all’intimismo, provocando una transizione quasi inconscia, graduale tra gli stati d’animo piú opposti. Guardandoli suonare dimostrano una stupenda coordinazione, affascinante, quasi come se avessero il dono sovrumano di saper dominare le onde del rumor-musica e fermarle nell’aria, scolpirle. Questi i Mogwai: commoventi e disarmanti.
Autore: Sara Ferraiolo