Partiamo dall’antefatto: la Don’t Look Back, in collaborazione con All Tomorrow’s Parties, ha avuto la brillante idea di proporre una serie di live-set, in cui band seminali della scena alternative, eseguono dal vivo un loro album storico. Così, stasera al Circolo, gli Slint rifanno integralmente Spiderland, album del 1991 – l’unico, ironia della sorte, che Steve Albini non ha prodotto – con la formazione originale, all’epoca giovanissima. Può una band ormai sciolta, che all’attivo ha una discografia esigua come quella degli Slint, passare alla storia per un disco soltanto? Certo: se il disco si chiama Spiderland, le orecchie (e lo stomaco) non chiedono altro, e lo dimostra il fatto che il Circolo è pieno come un uovo. Nel buio una chitarra pizzica gli armonici e ci introduce alla vista di quella scura cattedrale che è Breadcrumb trail (storia di una giovane coppia che si dà l’addio su un ottovolante): un monumento, eretto con mattoni irregolari, per rendere manifesti il pathos e l’epica dell’indie più tormentato e meno cazzaro, piuttosto che il post-rock, come vuole la critica. Un pathos senza maniera. E un’epica senza eroi, di ansia (post)adolescenziale, lontana da Seattle – vale la pena ricordarlo: è il 1991. I tempi dispari e un riff sferzante e metallico annunciano Nosferatu man, sinistra e notturna. La notte e il mistero avvolgono la nervosa, circolare, Don, aman e la sua voce narrante. Poi la stessa voce, accompagnata da un sentimento di sgomento e paura, si appoggia sull’arpeggio di Washer. Quindi è la volta della lentezza di For dinner, tipica del narcotico slow-core – che fu inviso alla grunge-generation – comune ai contemporanei Codeine. Il finale di Spiderland è anticipato ad alta voce da qualcuno tra la folla: Good morning, captain, ispirata da Coleridge, caccia via i fantasmi in malo modo tra le grida e la tregenda delle chitarre. Se la terra dei ragni è sospesa, in quanto ragnatela, e noi ci siamo sopra, vuol dire che siamo in trappola. Fottuti. 40 minuti, il pubblico applaude, urla e fischia: gli Slint vanno avanti per un’altra mezz’ora infilando Glenn e Rhoda tratte dall’ep dell’89, e l’inedita Kings approach, ma questa è un’altra storia, buona per la cronaca. Torniamo al ’91. Louisville, Kentucky: quattro giovani ragazzi rientrano a casa dai loro rispettivi lavori, insoddisfatti, svogliati, e non vedono l’ora che arrivi il fine settimana, per chiudersi nel garage a provare e riprovare la loro musica, per cacciare giù nel gargarozzo delusioni e paranoie, tra scazzi, birre fredde e spinelli. Per portare un po’ di gente nella terra (sospesa) dei ragni ed erigere un monumento all’epica dell’indie.
Autore: Fabio Astore
www.southern.com/southern/band/SLINT/ – www.myspace.com/slintlive