Come? Harry Potter? ma non è un film da bambini? Ma non è una pellicola, massimo, da adolescenti? C’è sempre un “ma” nella vita. La realtà è che – a prescindere dall’opinione del sottoscritto per cui non esistono film solo per bambini, ma film punto e basta – vale la pena di notare che “Harry Potter e il calice di fuoco”, così come qualsiasi altro capitolo della quadrilogia da grande schermo sul maghetto, non costituisce un semplice film. Piuttosto: un evento. La disperata ricerca di interattività che va per la maggiore negli studi nostrani sulla comunicazione, ha trovato qui piena affermazione. In un delicato scambio emozionale tra pubblico (pronto a soffrire, commuoversi) e narrazione.
Gli applausi a scena aperta, gli ooooh di stupore, i sobbalzi sulle poltroncine sono stati nulla a confronto della candida affermazione di un “non più giovane” quattrenne; il quale, alle rimostranze del padre accompagnatore, che elemosinava un minimo di silenzio, replicava con piglio sicuro: “Sono io Harry Potter”. In quel momento non ho potuto fare a meno di pensare che i fratelli Lumiere in persona, concependo e progettando la propria creatura, non avrebbe saputo rendere meglio il concetto di sogno, partecipazione ed emozione che in quel momento il diavoletto di 4 anni manifestava. Un primo tempo sostenuto da un buon ritmo della narrazione, mentre qualche pecca affiora nella resa cinematografica nel secondo. Atmosfere e contesti quanto mai goticheggianti, a fare da sfondo alla crescita e alla maturazione dei personaggi. Un cammino da iniziati (non a caso il primo episodio della saga si riferiva alla “pietra filosofale”) che, chiaramente, non ha ancora trovato la sua conclusione. E probabilmente – come ogni opera alchemica che si rispetti dove trasformazione e ricerca rapresentano l’unica misura di tutte le cose – una conclusione non la si troverà, almeno nel senso fisico del termine. Il resto lo lasciamo alla visione.
Autore: Gilberto Florio