Venticinque anni di carriera per una band sono un risultato importante, che forse porta anche a dei bilanci. Questi, eventualmente, li fa il trio pisano. Da parte nostra, oltre a constatare che Il Male è il tredicesimo disco in studio, ci godiamo una discografia costellata da tantissimi alti e pochissimi bassi. E Il Male dove lo collochiamo? Senza dubbio tra i momenti migliori dei toscani, almeno dal punto di vista dei testi.
Se può essere azzardato dire che gli Zen Circus abbiano raggiunto la maturità, sicuramente con questo disco hanno finora toccato l’apice per quanto riguarda la costruzione dei testi. Appino, Ufo e Karim Qqru sono stati in grado di scrivere il loro miglior disco dal punto di vista cantautorale.
Dal punto di vista musicale, il sound è più asciutto, grazie all’assenza delle tastiere, il che lo rende molto più essenziale. Se non sono tornati al folk-punk delle origini, il loro rock è meno contaminato dal pop e più deciso, per quanto non manchino splendide ballate e parti melodiche molto azzeccate, aspetto su cui sono particolarmente bravi.
Tuttavia, il loro piglio punk resta una costante e in questo disco torna ad affacciarsi in maniera molto decisa, non solo per la crudezza, ma anche per la sfacciataggine a partire dal titolo stesso del disco, scelto dopo che il trio si è reso conto di aver scritto una buona manciata di brani che trattavano questa tematica. Con questo titolo, quindi, gli Zen Circus rivendicano la voglia di essere diretti e sicuramente non ipocriti, tanto è vero che nell’incipit della stessa title-track tengono a sottolineare di non aver venduto il proprio cuore per qualche canzone d’amore, ma di preferire il male, che è il loro talento migliore. Questo brano, inoltre, almeno dal punto di vista concettuale, è sulla stessa lunghezza d’onda di Voglio invecchiare male e L’amorale.
Uno dei motivi per cui questo lavoro entusiasma dal punto di vista testuale è la densità di quella complessità di cui è fatta la vita, e che troppi politici, giornalisti e opinionisti di varia risma contrastano con la loro odiosa tendenza a semplificare e banalizzare questioni importanti. Un tema sicuramente complesso, che il trio ha sempre trattato ma che in questo lavoro è stato particolarmente enfatizzato, è lo scorrere del tempo e, permettetemi una vaga interpretazione psicoanalitica, la latente paura di morire, che emerge soprattutto in È solo un momento e Un milione di anni. Nella prima viene evocato il primo Guccini, in particolare quando Appino canta “i miei vent’anni sono volati”, in un brano evocativo e dal finale molto pregnante e malinconico. La seconda è una trascinante ballatona, anch’essa malinconica, nella quale emerge la paura di non essere ricordati.
Il tempo che passa fa rabbia, e a volte questa emozione viene scaricata sui più giovani: ecco quindi la tagliente Vecchie troie che, con un bel ritmo pop-punk scheggiato, esprime l’odio per i giovani e per molti elementi della vasta umanità. Questo brano sembra il contraltare di Ok boomer, per il suo essere comunque liberatorio e denso di bile. Un altro testo molto profondo è la ballata elettro-acustica Adesso è qui, struggente per come viene affrontato il tema della fine dell’innocenza e delle illusioni.
Gli Zen Circus, se da un lato hanno i piedi ben saldi nella loro provincia toscana, dall’altro non dimenticano da dove vengono, per cui in Novecento cantano, con molta rabbia, che in quel secolo ci sono stati, purtroppo, tanti fenomeni storici e pop: dai campi di concentramento fino a menzionare Jovanotti e Jerry Scotti. In Caronte e Meglio di niente la malinconia è dovuta alle relazioni d’amore finite. Anche Miao, con un bel ritmo in crescendo che sfocia in un’esplosione rock, ha un legame con un brano del passato, vale a dire Ilenia: è un carteggio iniziato nel 2016, in cui i due personaggi si chiedono vicendevolmente come stanno dopo un lungo periodo di lontananza, descrivendo contemporaneamente lo stato delle cose attuale, sia nella loro sfera privata che nel mondo che li circonda.
Il disco in vinile è arricchito dal Malefico Presente, una tavola originale di Enzo Sferra, storico illustratore della rivista satirica Il Male, nata nel 1978 e diventata simbolo di un approccio irriverente e anarchico alla critica politico-sociale.
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