“Non abbiamo bisogno di energia, questa sera l’energia siete voi”
Sono queste le parole che Tweedy rivolge a tutto il pubblico alla fine di Spiders, cavalcata psichedelica contenuta in quel capolavoro che è “A ghost is born”, durata la bellezza di circa venti minuti causa un black–out che ha lasciato tutto il palco nel buio più profondo.
Ma più dell’energia, è la sinergia che si è crea tra il pubblico e i nostri che ha dello stupefacente. Anche nella totale oscurità Kotche, continua imperterrito a battere il tempo, sostenuto dalla melodia della chitarra acustica di Tweedy e dalle innumerevoli percussioni utilizzate dagli altri.
Il pubblico, con mani, voci, ma soprattutto cuore è parte integrante di questa trance musicale e il risveglio è quanto di meglio si potesse aspettare, con Cline, capace di riprendere il riff potentissimo lì dove il buio l’aveva portato via, lasciando illuminare dalla luce appena tornata le facce sbalordite e stupefatte di chi questa serata la ricorderà per molto tempo ancora.
E’ una scaletta perfetta quella che i Wilco regalano ai circa 2000 presenti allo Spazio 211, con l’inizio dolce e intimista di Either Way, dall’ultimo Sky blue Sky, mentre subito dopo You are my face e I’m Trying to break your hear sono la prima avvisaglia di quello che sarà il leit motiv di tutto il concerto, ovvero un continuo rimbalzo tra sonorità circolari tipicamente west coast e deliri psichedelici farciti di dissonanze e sperimentazioni più estreme.
Side with the seed con Cline alla slide guitar ci riporta su quel terreno di matrice tipicamente sixties, ma è Via Chicago a stregare tutti i circa 2000 presenti con la sua struttura fatta di pura follia. Tweedy nel proscenio a portare avanti la parte acustica e dietro, il resto del gruppo a creare pure tempeste sonore e digressioni inimmaginabili, due teste dello stesso mostruoso, splendido corpo.
Ma di colpo la furia quasi allucinogena si placa, i nervi si distendono e ritorna irresistibile la grazia e la leggiadra con la delicatissima Sky Blue Sky, l’ironica Theologians e la spensierata Jesus Etc.
Poor Place è pura emozione, tutta giocata sui continui botta e risposta dei due tastieristi e con un finale dilatato e disturbato oltremisura.
Il secondo ed ultimo bis si conclude con Heavy Metal Drummer e The Last Greats, pure stile alt-country, chiusura perfetta di un cerchio che ha regalato a tutte le persone accorse dalla più varie parti d’Italia la sensazione di aver assistito più che ad un concerto, ad un evento unico, irrepetibile, impensabile.
Autore: Alfonso Posillipo
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