E’ un compleanno importante quello che si appresta a festeggiare il Six Day Sonic Madness, un’edizione per il decennale che è la conferma di quanta strada abbia fatto questo piccolo festival, nato dalla sola passione di pochi e amici e diventato oramai una certezza ed un evento capace di coinvolgere ed attirare migliaia di persone.
E non poteva essere da meno l’offerta artistico-musicale, frutto di una mescolanza di arti, di generi e di sperimentazioni tra le più varie e ricercate, un esperienza totalizzante che passa (lega al suo fil rouge) dalla bellissima mostra “Iconografia” dedicata al mai dimenticato Andrea Pazienza, alla mostra fotografica della Fondazione Farassino, per approdare direttamente nell’open stage, uno spazio off che dà vita a reading, set acustici e aperitivi elettronici.
E come ultimo atto di una grande messa in scena ecco il sonic stage, il cuore pulsante delle notti soniche, il luogo dove la forma, nelle sue accezioni più varie, diventa contaminazione, ricerca, sostanza. L’apertura della sei giorni è affidata agli Atari, con il loro electro-pop di matrice 80’s, capace di catapultare tutto l’ambiente in un turbinio vintage fatto di beat e sintetizzatori. Sono invece i Tre Allegri Ragazzi Morti gli headliner della serata e lo dimostrano con un set perfetto e coinvolgente, purissimo rock’n roll e follia fumettistica, pezzi nuovi dall’ultimo album “La seconda rivoluzione sessuale” e veri e propri classici come “occhi bassi”, 15 anni già” e “mai come voi”. Gli statunitensi Oneida, gruppo di punta della seconda giornata sono tra i più attesi e senza dubbio uno degli apici di tutta la manifestazione. Il loro sound, un misto tra garage, progressive e noise-rock mette a dura prove le antiche mura del castello medievale, un impatto devastante che trascina tutto il pubblico verso una deriva a tratti onirica, a tratti quasi disturbante. La chiusura del concerto è di quelle memorabili, con una Sheets of Easter che prende la forma di un mantra iperbolico, tutto in due note, un infinito giro su se stesso che lascia tutti straniti e senza fiato. Non si fanno prigionieri, sembrano volerci dire i nostri, almeno per questa sera. I francesi Sincabeza sono la piacevolissima sorpresa della terza serata e una dimostrazione ulteriore della lungimiranza e della accuratezza con cui vengono fatte determinate scelte da parte dell’organizzazione. Il trio di Bordeaux ci regala cinquanta minuti di noise tiratissimo, frutto di pause sincopate ed accenti forti, il tutto condito in salsa progressive ed eseguito con una tecnica sopraffina. Uno spettacolo entusiasmante e coinvolgente che poco dopo lascia spazio ai nostrani Jennifer Gentle (ma che incidono per la storica Sub Pop) e alle loro visioni ora psichedeliche, ora spettrali ed ossessive altre volte spiccatamente pop. Un bel concerto, ma che in alcuni momenti è sembrato essere lievemente monocorde. Ma un anniversario è anche il momento per rincontrare vecchi amici, ed allora riecco due vecchie conoscenze che qui hanno lasciato solo bei ricordi: gli A Toys Orchestra che hanno concluso la giornata di venerdì e gli ormai veterani Giardini di Mirò. Proprio quest’ultimi erano tra i più attesi dal popolo indie, memore di una performance di tre anni prima (con alla voce Alessandro Raina) davvero entusiasmante.
Non sarà lo stesso questa sera, complice qualche problema iniziale con la strumentazione e una parte vocale con Reverberi e Nuccini un po’ sottotono.
Per il resto, la band di Cavriago offre uno spettacolo più che soddisfacente, attingendo molto dall’ultimo Dividing Opinions e poi dando sfogo a spasmi chitarristici propriamente post-rock, grazie anche ad un indiavolato Jukka Reverberi che si esibisce in contorsioni plastiche con la sua chitarra e in qualche occasione affianca anche l’ottimo Francesco Donadello alla batteria. Il momento migliore resta il bis finale che si apre con la splendida e dolcissima Pet Life Saver e termina con i deliri sonici e ipnotici di A New Start. Un brivido breve, ma molto intenso. L’ultima giornata è quella dei ringraziamenti e dei saluti, con un enorme torta portata sul palco a suggellare un rapporto fortemente intimista che negli anni si è creato con tutto il pubblico. I fuochi d’artificio finali sono però offerti dagli Uzeda, lo storico gruppo catanese che con uno spettacolo d’altri tempi ci riportano indietro di vent’anni, quando Catania era considerata a ragione la Seattle d’ Italia. Di colpo l’aria si riempie di rumore e dissonanze, il muro sonoro che produce la sessione ritmica è granitico e le varie “Suivater,” Time Below Zero” “Surrounded” sono la dimostrazione di quanto questi quattro signori un pò attempati siano stati sempre troppo avanti rispetto a tutto e tutti. Gli ultimi sinceri applausi sono reciproci, frutto uno scambio intenso e commovente. Un augurio finale, dieci, venti, trent’anni ancora di Six Day.
Autore: Alfonso Posillipo
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