Sinceramente avevo perso da tempo i contatti con i Japandroids relegati nell’amgolo dei ricordi sotto la voce di promesse non mantenute, sebbene quando nel lontano 2009 debuttarono con un ottimo album che prometteva bene. “Post Nothing” confermava la qualità della scena indie rock canadese che all’epoca aveva molte frecce al suo arco come Wolf Parade, Constantines, Arcade Fire e simili. Il suono composto dal duo David Prowse e Brian King, verteva essenzialmente sulle chitarre tirate che trascinavano brani estremamente melodici che traevano ispirazione dagli Sugar di Bob Mould, o perlomeno ci somigliavano tanto.
L’album successivo “Celebration Rock” (2012) li elevò meritatamente al successo mondiale portandoli sui palchi di tutto il mondo, oltre che a diventare una leggenda nazionale canadese. Il passo successivo, “Near To The Wild Heart Of Life” (2017), nel tentativo di esplorare una forma canzone un po’ diversa da quella che riempiva i capitoli precedenti, finì per essere il chiaro esempio di un’occasione mancata che spinse il duo pian piano nell’oblio.
Oggi, un po’ a sorpresa, King e Prowse tornano con questo “Fate & Alcohol” annunciato come il disco che chiude la carriera dei Japandroids, e che sembra volere essere una summa di quanto prodotto in precedenza, non discostandosi mai dall’essere quella band festaiola che vuole essere al centro dell’attenzione, essendone parte attiva soprattutto negli eccessi alcolici.
Ma se tutto questo andava bene negli anni della gioventù, oggi suona un po’ caricaturale come tutte le cose arrivate fuori tempo massimo. L’ascolto del disco è di per sé anche piacevole nel suo svolgimento, solo che difficilmente lascia tracce da ricordare, visto che i brani sembrano tutti piò meno gli stessi con pochissime eccezioni (“Chicago”) che sinceramente non valgono il prezzo del biglietto.
“Fate & Alcohol” è l’ennesima occasione persa di un gruppo buono per una stagione e che ben presto tornerà nel dimenticatoio e non solo perché non produrrà altri dischi in futuro.
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