Questo di Nordgarden a Napoli è in effetti un gradito e felice ritorno, dopo la fortunata esibizione che il cantautore norvegese tenne in città, il 21 Gennaio 2005, al teatro Mediterraneo. Quella sera Terje Nordgarden aprì, da perfetto sconosciuto, per Songs with Other Strangers, estemporaneo progetto musicale che coinvolgeva, tra gli altri, Cesare Basile, Hugo Race e Manuel Agnelli, e con una esibizione acustica per solo voce e chitarra guadagnò consensi ed applausi a scena aperta tra i presenti.
Stasera, al Velvet, Terje chiude una 20 giorni di date attraverso l’Italia in cui ha presentato le canzoni del suo secondo disco ‘A Brighter Kind of Blue’, uscito quest’Autunno per la fiorentina Stoutmusic, e si esibisce sul piccolo palco del Velvet accompagnato dalla soffice tromba del connazionale – anch’egli molto giovane – Peder Oiseth.
L’esibizione parte proprio con un blocco di pezzi del nuovo album, che il biondo norvegese esegue con trasporto puntando moltissimo sulla sua voce notevole, ben impostata, cristallina, da vero cantante soul, cui fa da contrappunto il falsetto di Oiseth. Scorrono così ‘Monday’, rilassata ballata su di un mondo guardato senza troppo entusiasmo al risveglio dal proprio letto, al lunedì mattina, poi l’intensa ‘My Father the Sailor’, che il cantante presenta come amara invettiva – forse autobiografica – contro un padre che a cuor leggero va via, senza pensar su due volte a cosa – e soprattutto a chi – lascia a casa, poi la bella ‘Blessed’, delicata canzone folk d’amore d’altri tempi, che fa pensare a talune vecchie cose di Johnny Cash, e però dal vivo mostra troppa debolezza d’arrangiamento, riducendosi ad una marcetta.
Il cantante norvegese, che per tre anni ha vissuto in Italia tra Bologna e Firenze e dunque conosce molto bene la nostra lingua, dal palco comunica il più possibile con il pubblico che, seduto per terra, da parte sua risponde: Nordgarden spiega i testi delle sue canzoni, mettendosi anche a nudo con semplicità e simpatia, e ciò piace ai circa 75 che riempono stanotte il piccolo locale napoletano; accade ad esempio quando Terje rivela che ‘What would ‘ol Bob say’ racconta di un viaggio fatto attraverso l’Italia, qualche anno prima, dall’Emilia-Romagna alla Sicilia, per distrarsi e fuggire da una delusione d’amore con una ragazza di Sorrento, o quando spiega che il soul ‘To the River’ narra delle ultime ore del suo grande modello artistico, Jeff Buckley, prima che annegasse nel fiume Mississippi ormai 8 anni fa, o ancora quando presenta una canzone che commemora un altro suo riferimento: Elliot Smith.
C’è spazio anche per buona parte delle tracce del discreto primo album, e per una coinvolgente ‘A Brighter Kind of Blue’ parecchio urlata, prima che l’esibizione si concluda tra gli applausi.
Prima di Nordgarden si era esibito Inigo, cantautore napoletano che con un set molto scarno per solo voce e chitarra acustica ha intrattenuto il pubblico con le sue canzoni in inglese ed italiano. Indie rock acustico, il suo, che m’ha ricordato alcune cose di Pavement e J Mascis; migliorato, Inigo, rispetto a quando lo vedemmo qualche anno fa, sempre in città, aprire per i Sodastream.
Autore: Fausto Turi
www.myspace.com/nordgarden