C’è poco da fare, il Neapolis rimane, da anni, il rock festival di più alto profilo, nel Sud Italia: quasi un’isola nel deserto, da queste parti, per chi ogni tanto ha bisogno di vedere dal vivo anche qualche nome grosso. Chiaramente, ogni anno ci può essere qualche scelta discutibile nella scaletta degli artisti invitati, e se nelle ultime edizioni si erano allegramente accostati nella stessa giornata, senza molto criterio, artisti di estrazione diversa – con pubblico quindi decisamente eterogeneo e non interessato a seguire tutto, quest’anno si è messo più ordine con una soluzione di compromesso: tre serate, di cui la seconda decisamente alternativa con i Verdena headliners ed un biglietto tutto sommato economico, e la terza con soltanto Franco Battiato, che attira un pubblico più adulto e compassato.
Ma iniziamo dalla prima serata: il 27 Luglio, l’allestimento del palco della Mostra d’Oltremare è un’operazione lunga: ovunque palloncini e fiori di plastica colorati, e in un angolo c’è persino una macchina che spara raffiche di bolle di sapone sul pubblico; inoltre è necessario un pazzesco intrigo di cavi ed una ventina di microfoni circa, per collegare strumenti di ogni tipo, e alle 20.30, vestiti di tutti i colori del Mondo tipo turisti tedeschi a Riccione, salgono sul palco 16-17 musicisti: sono i fricchettoni I’m from Barcelona (www.imfrombarcelona.com/). La prima cosa chiara a tutti è che non sono di Barcellona: sono svedesi e portano al Neapolis uno strabiliante concerto in cui non si faranno mancare niente, comprese stelle filanti e coriandoli lanciati in aria a tonnellate, ed una trionfale passeggiata giù tra il pubblico del cantante/chitarrista, Emanuel Lundgren, lo sghembo biondino con i baffi a manubrio che dirige le danze, uno che della popmusic ha un’idea coinvolgente, giocosa e fanciullesca. Ricordano gruppi americani tipo Half-Handed Cloud, o Danielson Famile. La musica è infatti stracarica di euforia, quasi sempre cantata a squarciagola da tutti e 16 i musicisti, con un disordinato battaglione di giovanissime coriste dilettanti che sembrano animatrici di feste per bambini, e pare di essere di volta in volta al circo, al villaggio turistico, alla sagra di paese.
Immaginate un pigiama party dove tutti cantano e si divertono spensierati fregandosene di tutto il mondo fuori e avrete una seppur vaga idea del concerto di questi fantastici svedesi: non si sa perché (saranno state le stravaganti mise delle stravaganti coriste?) ma è questo che è venuto da pensare ieri, al loro concerto, mentre il piedino batteva il tempo e il corpo si dimenava all’impazzata.
Il successo di I’m from Barcelona va aldilà di ogni aspettativa, un ragazzo italiano presente al concerto scriverà sul loro blog, il giorno dopo: “You were so cool Friday!! Your show is unique, I really enjoyed it!! Neapolis festival rocked because of you!”. Prima degli svedesi, sul palco del Neapolis erano stati accolti bene anche The Holloways (www.the-holloways.com/), quattro giovani ragazzi londinesi che sembrano una versione scanzonata e vacanziera dei Clash; suonano un punk rock robusto e preciso con allegre divagazioni ska e country. Nel loro repertorio, che comprende un solo disco, oltre al singolo ‘Generator’ si distinguono anche ‘London Town’ e ‘Reinvent myself’; decisamente adatti per i festival estivi, gli Holloways. Ancor prima di loro, alle 17.30 e con un caldo torrido, avevano inaugurato la giornata i napoletani Gentlemen’s Agreement (www.myspace.com/thegentlemensagreement), vincitori delle selezioni Destinazione Neapolis. Rispetto a certi gig autunno/invernali il trio sembra aver indurito leggermente il tiro, proponendo anche canzoni più “aggressive” rispetto a certo pop intimista con puntate negli anni ’20 cui ci avevano abituati. Siamo in pochi ad ascoltarli, a quest’ora, ma va detto che il loro country-rock bizzarro, scanzonato e campagnolo con tanto di xilofono giocattolo, è buono, e mette allegria.
Subito dopo di loro abbiamo seguito la prova dei torinesi Disco Drive (www.discodrive.org/), in giro dal 2002, con un secondo album in uscita a Settembre su Unhip rec. Il loro concerto art-rock è molto rumoroso, con due batterie, basso, chitarra e due synth; ma spesso il trio sembra perdere il controllo della situazione, specialmente quando sulle buone trame funk di basso-batteria scatenano i sintetizzatori impazziti. Purtroppo durante il loro live c’è stato anche qualche problema tecnico. I Disco Drive stanno girando per i festival di tutta Europa, in quest’Estate 2007: Spagna, Gran Bretagna, Norvegia…
Veniamo però a quelli che per molti sono considerati “il piatto forte” della prima giornata: i Tiromancino (www.tiromancino.com/), che per la verità non fanno certo il pienone, stasera. Chissà che la decisione di fissare il festival negli ultimi giorni di Luglio non sia stata controproducente, in termini di pubblico: molti ragazzi napoletani ormai sono fuori città per le vacanze. Ma la prova del quintetto romano, in giro dal 1989, è davvero degna di nota. Se non si può dire che Federico Zampaglione sul palco sia una vera rockstar, il segreto del successo dei Tiromancino lo si comprende bene, vedendoli suonare: molto si basa sulla scrittura complessa e profonda di Federico; testi mai banali i suoi, con un personale approccio esistenziale e intimo alla canzone d’amore, ma fa la sua parte anche la voce perfetta e malinconica, che però mantiene anche il vizio del cantato rap, ed ormai è un marchio di fabbrica. Il suono della band rimane fedele alle sonorità abbastanza inedite di un pop al contempo radiofonico e tuttavia psichedelico: stasera, tra le tastiere, fa bella posa anche un apparecchio moog. Eseguono il meglio del loro repertorio, tra cui ‘Due Destini’, ‘La Descrizione di un Attimo’, ‘Amore Impossibile’, il singolo estratto dal nuovo album ‘L’Alba di Domani’, e poi ‘Imparare dal Vento’, ma c’è spazio anche per qualche pezzo minore da segnare assolutamente: la buia canzone intitolata ‘L’Autostrada’, poi ‘Nessuna Certezza’ e la canzone di rinascita intitolata ‘Muovo le Ali di Nuovo’. A cercare il pelo nell’uovo, si può magari dire che i Tiromancino non sembrano esattamente un gruppo rock, ma piuttosto un solista, il leader, accompagnato da sessionman bravi ma ammaestrati e poco coinvolti, tra i quali spicca solo suo fratello Francesco alla chitarra. Invitante fare un confronto tra loro ed i Negramaro (www.negramaro.it/) che il 12 Luglio, nell’Arena Flegrea, avevano suonato un’anteprima del Neapolis festival. Il sestetto pugliese è, al contrario dei Tiromancino, più equilibrato come band, e decisamente più sanguigno, malgrado per ora ancora non abbia un repertorio come quello dei romani. Anche il concerto dei Negramaro, tuttavia, aveva mostrato una band già esperta e coinvolgente, intenta a promozionare il nuovo album ‘La Finestra’ (2007). Tiromancino e Negramaro come Blur ed Oasis?
Dopo i Tiromancino, si balla. Salgono infatti sul palco gli Atari (www.myspace.com/atariboys), duo napoletano formato da Alfredo Maddaluno (batteria, voce, tastiere) e Riccardo Abruzzese (basso), con già due dischi autoprodotti in repertorio. Il loro è un ritorno al Neapolis dopo la prova dell’anno scorso, e stasera dimostrano di avere già un certo seguito qui nella loro città: il pubblico riconosce ed apprezza le loro canzoni electro funk robuste e squinternate che fanno ballare, ma con un approccio comunque r’n’r tipo i Devo. Oltre a loro “vecchi” cavalli di battaglia ci propongono anche nuovi pezzi, dimostrando che sono sempre più prossimi al passo importante: il disco italiano di pop elettronico definitivo, that’s it.
Si terminerà la serata ancora ballando sulle note acide dei danesi Who Made Who (www.whomadewho.dk/), il cui rock-funk futuristico riporta alla mente altre grandi realtà (i Trans-Am?) e che sono molto bravi a coinvolgere il pubblico napoletano (sempre più misero, sigh), e non solo perché il trio si presenta su questo palco sotto le (non-)mentite spoglie della più famosa maschera partenopea conosciuta all’estero come Mr. Punch alias Pulcinella! Fluide linee di basso si intrecciano a chitarristici fraseggi futuristi, il tutto supportato da una batteria ora dance ora rock ora addirittura tunz-tunz: è questo il caso della fantastica cover di Satisfaction di Benny Benassi!
Infine i Digitalism (www.thedigitalism.com/), che, per un problema di bagagli all’aereoporto, non è riuscito ad arrivare a Napoli con gli strumenti, e così stasera ha presentato soltanto un dj-set.
La seconda giornata del festival, il 28 Luglio, è invece tutta all’insegna del rock duro, e sono previste addirittura 9 esibizioni, dunque la maratona inizia alle 17.15 con i secondi vincitori di Destinazione Neapolis, i Joeblow (www.joeblowband.com/), gruppo crossover napoletano sul quale chi ama il metal, in città, confida, data la cronica pochezza della scena cittadina; cantano in italiano, inglese ma anche napoletano, e pestano durissimo, con una vena hardcore tipo Linea 77, ma il dialetto e i toni antagonisti che usano gli danno un colore inedito per il metal italiano, facendoli assomigliare ai 99 Posse. Poi ancora una band napoletana giovane ed aggressiva: gli O.D.R. (www.myspace.com/odrrock), che nella loro miscela rock’n’roll con cantato femminile sono ancora un po’ scolastici. Alle 18.10 tocca al miscuglio di Detroit garage e calipunk dei comaschi The Styles (www.thestyles.net/), un giovanissimo trio con due chitarre e batteria. Devastanti, eccessivi, rumorosi e veloci: gli Styles cercano e distruggono. Sul palco, qui a Napoli hanno dato il massimo, di più non si poteva, pur non essendo riusciti a scuotere più di tanto il pubblico presente. Imperdibili.
Subito dopo, gli Epo (www.epo.na.it/), l’unico gruppo meno rumoroso, oggi. Il loro pop rock indipendente cantato in italiano, forte di un repertorio collaudato sui due CD ‘Il Mattino ha l’Oro in Bocca’ (2002) e ‘Silenzio Assenso’ (2007), è solidissimo e molto apprezzato dal pubblico, ad eccezione di qualche metallaro che con la musica deve per forza fare headbanging. Gli Epo decidono di dedicare qualche minuto della loro esibizione ad un tema sociale: la lotta al racket, e così Ciro Tuzzi – cantante, chitarrista – invita i ragazzi a sostenere quelle attività commerciali che a Napoli rifiutano di pagare il pizzo alla camorra. Nella loro esibizione di 40 minuti circa, spiccano ‘In Cattività’ – il nuovo singolo – e la splendida ‘Catarì’ in dialetto napoletano. Tuzzi si distingue per una voce molto simile a quella di Eddie Vedder, e per una scrittura mai banale che a me ricorda Perturbazione e Têtes de Bois. E che dire allora dei successivi 1990s (www.1990s.tv/): anche loro splendidi! Proprio come gli Holloways visti ieri, hanno qualcosa di Clash e Rolling Stones – del resto sono britannici, di Glasgow… – ma siamo ad un livello molto, molto superiore agli Holloways. Il cantante chitarrista Jackie McKeown si guadagna subito la simpatia del pubblico, ma aldilà di ciò, il trio dal vivo è davvero forte. Immaginate il rock’n’roll degli Stones un po’ meno arrapato ma più noise e moderno. In repertorio hanno poche canzoni: un solo recente album ‘Cookies’ (2007) ed una marea di singoli, tra i quali il recente ‘You’re Supposed to be my Friend’. Dal vivo si concedono al massimo. Comincia a fare buio, ed ecco che al Neapolis arrivano i dark: una quarantina di spettatori circa, tutti vestiti di nero, giunti praticamente in contemporanea per seguire l’accoppiata britannica White Rose Movement (www.whiterosemovement.co.uk/) e The Horrors (www.thehorrors.co.uk/). I primi riusciranno a riscuotere decisamente più successo: sono molto bravi, e la loro dark wave virile, ma anche struggente, vicina a modelli anni 80 piuttosto ricercati – Clan of Xymox, Bauhaus, Theatre of Hate – cattura il pubblico. Gli Horrors invece ci riescono meno, pur suonando un concerto garage bellissimo – sembrano la giusta sintesi di Sex Pistols ed X – sono troppo terrificanti e rumorosi per questo pubblico, con quell’impasto incandescente di fuzz e farfisa. Magrissimi e neri, sembrano proprio dei Jack Skeleton (Timmy, pensa a loro per il tuo prossimo film!) in carne d’ossa, e quando escono sul palco, complice una luna piena mai così bianca, l’effetto è straniante.
Il loro è un live devastante, senza respiro tra un pezzo e l’altro: è tutto un unico magma sonoro denso e abbagliante, punk rock che più marcio (ancora di più che sul disco, assai “pulito” da un certo punto di ascolto) non si può, mica come certi fighettini inglesi di oggi, l’orrore (l’orrore!) non si ferma, e i pezzi in verità si distinguono solo per scampoli di parole colte per caso, come un parassita che si nasconde sottopelle, ma va più che bene così.
Il cantante, capelli sul viso a nascondere un naso adunco e gatto nero e pipistrelli tatuati sul braccio, per tutto il concerto non farà altro che dimenarsi come un ossesso – come in preda a continue scosse epilettiche – facendo inorridire i genitori che hanno accompagnato i loro figli a vedere i Verdena. E poi, appunto, tocca ai Verdena (www.verdena.com/). Tornati quest’anno un trio, restano monumentali ed inarrivabili, osannati e adorati da un pubblico giovane che cresce con loro. Suonano stasera praticamente tutto ‘Requiem’, il nuovo disco che come qualcuno ha scritto ricorda molto il primo, oscuro album dei Nirvana: ‘Bleach’, ma pescano anche qualche acclamatissimo inno dal loro passato: ‘Ovunque’ dal primo disco omonimo (1999), ‘Logorrea’ da ‘Il Suicidio del Samurai’ (2004). Mettono da parte le jam psichedeliche con cui spesso concludevano dal vivo i loro pezzi, tirandoli anche per 10 minuti, e stanotte suonano più diretto, stoner, ad un volume impressionante che Luca pretende che al mixer alzino sempre più, fino a livelli pazzeschi. Alle 00.15 tocca ai Negrita (www.negrita.com/) che pagano, loro soli – e non è giusto – tutti i ritardi che si sono accumulati in 7 ore di concerti: la loro prova viene dimezzata da 90min a 45min, e devono anche suonare col volume ridotto perchè è tardi. Il pubblico solidarizza con loro e gli rende tributo; scavano nel loro grande repertorio – 9 dischi – e tirano fuori un concerto molto buono, in cui il cantante Pau emerge come leader provocatore e dal grandissimo carisma. Onore ai Negrita: ma chi se lo sarebbe aspettato 15 anni fa, con Timoria, Ritmo Tribale e Dorian Grey che nel frattempo si sono sciolti ed i Litfiba in agonia, che proprio loro sarebbero arrivati in piena forma al 2007? Stasera fanno diversi inediti, che probabilmente finiranno sul prossimo CD.
La giornata conclusiva del Neapolis 2007 è invece tutta per Franco Battiato (www.battiato.it/). Quando il ‘maestro’ – che tuttavia in un’intervista recente pare abbia dichiarato che è stanco d’esser chiamato così… (!) – sale sul palco dell’Arena Flegrea, il mite pubblico modello familiare accorso per lui dà fuori di matto. Il palco è allestito con tendaggi bianchi che coprono i musicisti, e ad uno ad una vengono giù svelando il quartetto d’archi, il pianista, la sezione elettrica. Il cantautore siciliano inizialmente se ne sta seduto lì al centro su una seggiola, per poi alzarsi in piedi dopo qualche canzone e concedendosi completamente e con energia al pubblico, persino scherzando, ogni tanto.
Battiato presenterà un concerto davvero mozzafiato, col meglio del suo repertorio, pescando anche un paio delle ermetiche canzoni ‘etniche’ degli anni 80, e poi una ‘Prospettiva Nevskji’ da ‘Patriots’ (1980). Immancabili gli inni degli anni 70: ‘Bandiera Bianca’, ‘L’Era del Cinghiale Bianco’, ‘Cuccurucucu’, ‘Voglio Vederti Danzare’, ‘Centro di Gravità Permanente’, ‘ e i capolavori dell’ultimo decennio, come ‘La Cura’, ‘Caffè de la Paix’, ‘Tra Sesso e Castità’ e la cover ‘Amore che Vieni, Amore che Vai’ di De Andrè. Wow, sembra di sentire il ‘The Best of…’. Accompagnano Battiato le Mab, gruppo metal femminile italiano, e l’immancabile filosofo al seguito, Manlio Sgalambro. E tutti ad applaudire, quando Franco canta ‘Povera Patria’: “Povera patria! Schiacciata dagli abusi del potere di gente infame, che non sa cos’è il pudore, si credono potenti e gli va bene quello che fanno; e tutto gli appartiene. Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni! Questo Paese devastato dal dolore… ma non vi danno un po’ di dispiacere, quei corpi in terra senza più calore?… Nel fango affonda lo stivale dei maiali… la primavera intanto tarda ad arrivare”.
Autore: Fausto Turi con la collaborazione di Lucio Carbonelli foto di Paola Di Domenico
www.myspace.com/neapolisfestivalpage – www.neapolis.it