Succedono cose strane, a volte. Succede, per esempio, che la Barley Arts e DNA promuovano un evento a dir poco male assortito, pretendendo di affiancare nella stessa serata due gruppi lontanissimi tra di loro, con un’estetica del suono e un seguito di pubblico totalmente differenti. Succede anche che la band che doveva essere l’attrattiva principale, stando a ciò che nelle settimane immediatamente precedenti si leggeva sulle riviste che seguono spettacoli e manifestazioni cittadine, ricopra invece il ruolo di ospite, aprendo la serata a favore dei londinesi Infadels. Un cambio di programma, che finisce per portare le Organ di Katie Sketch a suonare per prime, consolidando, nostro malgrado, la vocazione verso una puntualità quanto mai spietata del noto locale milanese. Arriviamo in ritardo, naturalmente, riuscendo a perdere i primi due pezzi della loro esibizione. Uno show scarno, poco coreografico, ma certamente efficace. Le Organ, cinque ragazzine canadesi poco più che ventenni, in giro per l’Europa per presentare dal vivo il loro chiacchieratissimo album d’esordio, “Grab That Gun”, si giocano una ad una tutte le loro carte, senza sosta. E senza rivali, primeggia su tutte una Katie Sketch splendida ed emotivamente molto coinvolta che canta stringendo nervosa il microfono, con gli occhi chiusi e la mano libera stretta a pugno. E una voce che incanta. Un vero rapimento. Morrisey, la new wave degli anni Ottanta, l’ombra ingombrante di Cure e Joy Division, tutto risale in superficie dal profondo del nostro inconscio, scorre davanti ai nostri occhi, riempie le parole della Sketch di malinconica passione, di solitudini, di amori perduti. Fine dell’incantesimo. Ad amplificatori spenti, il ritorno al presente. Si riaccendono le luci e rivelano un locale tutt’altro che pieno. Molti, soprattutto le ragazzine più giovani, si accalcano verso il banchetto del merchandising per accaparrarsi, oltre ai cd e magliette della band di Vancouver, anche preziose foto ricordo e immancabili autografi. Dopo quasi tre quarti d’ora – un cambio di palco lunghissimo, comprensivo di uno sfinente soundcheck di ritocco – salgono sul palco gli Infadels. Un’esibizione tutta calore ed energia. Un’atmosfera da party sfrenato che però mostra, già dopo qualche pezzo, la sua vera faccia. Nonostante i salti, le urla, le pose, i cori più o meno accattivanti, le buone intenzioni, il sudore, le chitarre, il beat danzereccio e ruffiano, lo show stenta a decollare veramente: è piuttosto monotono e, a dirla tutta, annoia un po’. Gli Infadels, comunque, raccolgono applausi, suonano tutto il loro disco, “We Are Not The Infadels”, mostrandosi soddisfatti per l’accoglienza ricevuta (Bnann, il cantante, lo ripete più di una volta…) per quella che è la loro primissima data italiana. Ma, uscendo dal locale, pensando e ripensando alle algide movenze e alla distaccata ed evocativa voce di Katie Sketch, realizziamo quanto lontano appaiano quelle turbolenze dell’animo provate neanche un paio d’ore prima, quanto poco preparati eravamo alle ebbrezze rock-electro-dance degli Infadels, e soprattutto quanto ci sarebbe piaciuto riguadagnare la via di casa passeggiando nelle buie strade milanesi con l’eco delle note di “Memorize The City” ancora nelle orecchie, in compagnia solamente dei nostri ricordi più scuri e malinconici.
Autore: Marco Castrovinci
www.theorgan.ca www.infadels.co.uk