E’ stata già un’impresa procurarsi i dischi dei This Heat (poi amati fino al parossismo isterico) figuriamoci quelli di Hayward da solo. Così a volte si va a un concerto per un atto di fede. Certo una rassegna curata come obSESSIONS fa da garante, ma quando leggi che una “figura del passato” si presenta sul palco da solo con la sua voce, una batteria e basi elettroniche, alla curiosità si affianca presto la perplessità. In scena Hayward comincia a gironzolare sul palco nervosamente, percuote fogli di plastica in prossimità del microfono, sfrega quest’ultimo sui drappeggi delle tende, poi lo lascia cadere di schianto; si ferma a fissare il pubblico, ad aggredire lo spazio e gli astanti con le sue folte sopracciglia mefistofeliche e intanto pensi: “Ecco, adesso si trasforma in licantropo”.
E nemmeno ci sarebbe da meravigliarsi: è pur sempre un brutto ceffo dei This Heat.
Poi la trasformazione avviene per davvero, ma mitologica: Hayward diventa metà uomo e metà strumento con la sua batteria, e il suo drumming si incastona nelle basi elettroniche con una puntualità prodigiosa. Un drumming tribaloide che accelera verso tempistiche drum’n’bass, rallenta di colpo e, coadiuvato dagli scenari cangianti del sequencer, sfocia nel placido mare del dub quartomondista, lido in cui approdarono già gli stessi This Heat e gente come General Strike e Pop Group. Nel contempo Hayward canta e la sua voce è un detonatore che fa saltare le convenzioni: come stabilì il codice punk, puoi stonare, gridare con ferocia e ammiccare con demenza – anche a cinquant’anni suonati – a patto che sanguini. E men che meno importa quanti dischi vendi, perché se è vero – come è vero – che il rock, nelle sue pagine più controverse (e spesso anticommerciali), è Arte, allora Charles Hayward è, nella fattispecie, la cartina al tornasole.
Così, dicevo, a volte si va a un concerto per un atto di fede e finisce che vinto dalle emozioni di un’epica Time is spiral, indubbiamente l’acme di un sudatissimo set, non riesci a trattenere le lacrime. E ti vergogni. Non tanto perché ti è scappata la lacrima, ma, piuttosto, perché hai osato dubitare.
Autore: Fabio Astore
www.myspace.com/charleshayward