Recentemente, con la recensione di “Black Classical Music” di Yussef Dayes, si è osservato come il jazz (nel senso più ampio del termine) nel nuovo millennio si fosse appropriato di una rinnovata espressività, liberandosi delle elefantiache sovrastrutture che gli anni settanta e ottanta avevano (in parte) appoggiato sulle sue spalle, complice anche una non sempre oculata “fusion” più impegnata a curare la forma che la sostanza. Se infatti il jazz “puro” aveva conservato una propria identità, le sue derivazioni si erano spesso rivelate “derive”, allorquando avevano cercato la contaminazione con altri generi (per un approfondimento si rimanda alla recensione di “Black Classical Music”).
Tra i tanti musicisti della nuova generazione comparsi sulla scena, di cui si è fatta menzione in positivo, compare a pieno titolo anche il nome di Matana Roberts.
Classe 1978, “Matana Roberts is an internationally celebrated composer, performer, band leader, saxophonist, sound experimentalist, and mixed-media practitioner”, si legge sul sito della Costellation, etichetta per la quale la Roberts ha dato vita al progetto “Coin Coin” ora giunto al quinto capitolo: “Working across many contexts and mediums, including improvisation, music composition, visual art, dance, poetry, and theatre, Roberts is perhaps best known for their acclaimed Coin Coin project – a multi-chapter work of ‘panoramic sound quilting’ mixed media performance work, that aims to expose the mystical roots and intuitive traditions of American creative expression, while maintaining a deep and substantive engagement with narrative, history, community and political expression within sonic structures” (ancora dal sito della Costellation).
E a ben ascoltare, la miscellanea di jazz, free jazz, reading, avanguardia, folk …, intrisa di un misticismo legato alle radici della tradizione “americana”, è dirompente nei lavori discografici di Matana Roberts che diventano una “collana” di romanzi storico/sociali, narrazione in musica e parole … con in primo piano il popolo afroamericano (verrebbero alla mente, in una ipotetica comparazione al femminile tra musica e letteratura, le scrittrici Alice Walker e Toni Morrison … “Dear one, There is something quiet rancid going in America right now, more so than any time I have seen …” – si legge tra l’latro nelle lunghe note di copertina).
Come in un saggio/libro, il progetto “Coin Coin” si suddivide in capitoli: “Chapter One: Gens de Couleur Libres”, registrato dal vivo; “Chapter Two: Mississippi Moonchile”; “Chapter Three: River Run Thee”; “Chapter Four: Memphis”; “Chapter Five: In the Garden …” e con una costante di livello che attraversa tutti i cinque dischi lacera e graffia, compone e scompone pensieri e sentimenti: cinque capitoli … nessun cedimento ….
Sicuramente i lavori della Roberts non sono né di immediata, né di universale fruizione, sebbene con “Coin Coin Chapter Five: In the Garden” confermi ancora la sua eclettica capacità di muoversi con precisione chirurgica su di un sentiero che può facilmente condurre all’errore, errore che non è però mai manifesto nel ciclo “Coin Coin” poiché l’equilibrio e la compensazione bilanciano ogni apparente (se non evidente) “stortura”, ogni iperbole, ogni eccesso, ogni cacofonia.
“Coin Coin” fonde (sebbene con matrici diverse e più trasversali), sempre per citare “nomi” contemporanei, le “estremizzazioni” di Colin Stetson con il “gusto” di Jaimie Branch; nei credits è riportata la dicitura “Jaimie Branch (Courage 1983-2022)”.
Apre il primo dei due 10” “We Side”, un suono metallico da rito apotropaico e una tensione sovrastano indecifrabili parole (che sembrano annunciare “My name is …”), prima che un tribalismo percussivo e dei “fischi” tracimino nell’avanguardia libera di “Different Rings” … il silenzio e poi la colloquiale (sin dal suo incipit “Whew It is hot today!”) e splendida “Unbeknownst”; “Unbeknownst” è una marcia che avanza tra tensioni e “incanti” di archi (la Roberts dimostra di aver ben assimilato le collaborazioni con i Godspeed You! Black Emperor e i Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra), in cui i fiati fanno da “foglio” per il primo vero racconto di “Coin Coin Chapter Five: In the Garden” … e per “My name is your name/Our name is their name/We are named/We remember/They forget” (sul retro della copertina del doppio 10” è riportata, non a caso, la scritta: “are named/We remember/They forget”.
Se “Predestined Confessions” chiude il lato 1 del primo vinile tornando a esplorare sentieri più aspri e free, soprattutto nel contrasto (in contrappunto) di timbrica tra i fiati, “How Prophetic” apre il lato 2 rielaborando con tono sostenuto la riuscita formula di spoken music di “Unbeknownst”, intensificandone però il ritmo e il “tono”: “Child, the shame I felt” e ribadendo … “My name is your name/Our name is their name/We are named/We remember/They forget”.
“A Caged Dance” è personale soliloquio per sassofono sorretto da flebili sibili in ombra.
La breve “I Have Long Been Fascinated” fa da “arco” per “Enthralled Not by Her Curious Blend” e con essa torna lo spoken, questa volta su di un ipnotico e “vibrante” incedere, più rarefatto, da “shadow children”, e sempre concluso da “My name is your name/Our name is their name/We are named/We remember/They forget”.
Lo schema sino ad ora proposto si replica per il lato 3 nel secondo 10″ con “No Way Chastened”, ed è chiara l’intenzione della Roberts di non voler dar “pace” all’ascoltatore, per poi sublimarne l’orecchio con il particolare fascino della corale stratificazione che compone “But I Never Heard a Sound so Long”, una ninnananna delle piantagioni della tradizione afroamericana tratta da “All the Pretty Little Horses” (torna alla memoria la versione dei Current 93 con Nick Cave), qui per sole voci … “Hush you bye/Don’t you cry/Go To Sleepy Little baby” che si fonde in un tutt’uno nella successiva “The Promise” (“This is a traditional american plantation lullabye, author unknown, however I changed the lyrics on the refrain (the promise) to better reflect our protagonist and changed parts of the main melody. We sing it as a 4 part round” – si legge nelle note del sito on line intitolato alla Roberts).
Discorso a parte per “Shake My Bones”, in cui astrazione e concretezza e ordine e (apparente) disordine camminano come un funambolo su di una corda.
“A (Way) Is Not An Option” è il momento di spoken music più “isterico”, per poi diventare “mistico” nei suoni e nelle voci finali, misticismo che si fa vorticoso nell’intensa “For They Do Not Know” e definitivo nella sovrapposizione di sole parole, “fiato” e “battiti” … e nelle sempre ripetute “My name is your name/Our name is their name/We are named/We remember/They forget”.
Un ultimo intermezzo breve, “Others Each”, e “Coin Coin Chapter Five: In the Garden …” si congeda, e chiude (ciclicamente) la storia, con “… Ain’t I. …Your Mystery Is Our History”, esaltazione di quanto proposto sin dal primo giro del vinile … e su tutto sempre e comunque “My name is your name/Our name is their name/We are named/We remember/They forget”.
Con Matana Roberts (composer / horns / harmonicas / aux percussion / vocal / wordspeak), Mike Pride (drums / aux percussion / vocal), Matt Lavelle (alto clarinet / pocket trumpet / tin whistle / vocal), Stuart Bogie (bass clarinet / clarinet / tin whistle / vocal), Cory Smythe (piano / vocal / tin whistle), Mazz Swift (violin / vocal/ tin whistle), Darius Jones (alto sax / tin whistle / vocal), Ryan Sawyer (drums / aux percussion / vocal), Gitanjali Jain (text collage), Kyp Malone (synths).
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