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David Pajo “recupera” con gli Aerial M l’ottimo “The Peel Sessions”

di Marco Sica
2 Agosto 2024
in Recensioni
Tempo di lettura: 5 minuti
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Recentemente i Gastr del Sol hanno pubblicato “We Have Dozens of Titles”, disco contenente “vecchie” registrazioni tra cui alcune live; in quella occasione si era osservato come David Grubbs e Jim O’Rourke fossero stati due dei musicisti più influenti della loro generazione e non solo (‘David Grubbs e Jim O’Rourke, due dei più fulgidi musicisti della fine del primo millennio e oltre, avrebbero firmato un sodalizio che avrebbe fatto la storia’); si era poi fatto riferimento, nel corpo dell’articolo, anche a David Pajo data la sua partecipazione, oltre che negli Slint, anche nei Tortoise (‘da menzionare quantomeno i loro eccelsi “Millions Now Living Will Never Die” del 1996 – che tra le righe tanto deve ai Neu! e a Steve Reich – e “TNT” del 1998, entrambi con David Pajo degli Slint. David Pajo, a nome Papa M, nel 1999, pubblicherà il bellissimo “Live From A Shark Cage”’).

Ed a ben “sentire” anche David Pajo si può, dunque, considerare uno dei pilastri della musica degli anni novanta.

Dopo aver preso parte a formazioni minori (da citare i Maurice e i Solution Unknown), Pajo compie un miracolo musicale dando alle stampe nel 1991, con gli Slint (composti da Todd Brashear, David Pajo, Brian McMahan e Britt Walford), l’eccelso “Spiderland”, tra i più bei dischi della storia della musica: ‘Mentre negli USA il grunge e i suoi alfieri definivano un genere ma soprattutto un “pensiero” e un “movimento”, catalizzando (con una formula musicale-estetica d’innegabile effetto) l’attenzione del mondo e di una generazione desiderosa di trovare una nuova fonte da cui dissetare la propria “identità alternativa”, gli Slint (gruppo nato dalle ceneri degli Squirrel Bait – ricordiamo questo nome poiché ritornerà spesso), nel 1989 danno alle stampe “Tweez” e, nel 1991, il superbo “Spiderland”, probabilmente il più bel disco della sua epoca e sicuramente uno tra i più belli di tutti i tempi, nonché anticipatore di ciò che di meglio gli anni novanta produrranno in termini di post-rock (“Breadcrumb Trail”, “Nosferatu Man”, “Don Aman”, “Washer” – ballata inarrivabile -,“For Dinner”, “Good Morning Captain”, sono in ugual misura la summa della musica indie – e non solo – di fine millennio – e non solo)’ – si è scritto su queste pagine; sono poi numerose, negli anni, le sue partecipazioni con nomi più che illustri: da quella in “Fight Songs” dei The For Carnation – splendidi i loro “Marshmallows” del 1996 e “The For Carnation” del 2000 -, a quella in “3-Song EP” dei Royal Trux – seminale il loro “Twin Infinitives” del 1990 -, alle collaborazioni con Will Oldham e così via … ivi inclusa la partecipazione a “Mary Star of the Sea” degli Zwan oltre la militanza nei King Kong e negli storici Gang of Four (indimenticabile il loro capolavoro “Entertainment!” del 1979).

Se si volessero dunque prendere come riferimento anche solo i citati “Spiderland” e “Millions Now Living Will Never Die”, risulterebbe innegabile come David Pajo abbia contribuito alla produzione di parte della migliore musica del suo tempo.

Ma l’estro e la bravura di Pajo non si sono limitati ad esprimersi in “gruppo” infatti, a nome Papa M, nel 1999, pubblicherà il bellissimo “Live From A Shark Cage” in cui dimostra di aver assimilato le decostruzioni folk di John Fahey (da menzionare il suo inarrivabile “Fare Forward Voyagers (Soldier’s Choice)” del 1973), così come in parte fatto anche da David Grubbs e Jim O’Rourke, rileggendole in chiave a lui coeva, ora disturbandole con elettronica o con strali noise, ora deviandole verso aperture post-rock, minimali, psichedeliche… (la pastorale “Roadrunner”, la dolcemente nostalgica “Pink Holler”, l’ipnotica e ossessiva “Plastic Energy Man”, la lisergica “Drunken Spree”, “I Am Not Lonely With Cricket” – con i suoi richiami a Steve Reich -, la narrativa e cinematografica “Up North Kids”, l’eccelsa e totalizzante “Arundel II” … ne sono ferma testimonianza); con un “ardito” parallelismo mi viene in mente un altro piccolo gioiello “solista”: “The End of the Game” di Peter Green.

Ancor prima di Papa M, Pajo aveva dato vita anche agli M poi divenuti Aerial M, progetto più incline a un post-rock/slowcore strumentale e meditativo che trovava il suo compimento nel bel disco omonimo del 1997 (di spicco “Dazed And Awake”, “AASS”, “Skrag Theme” …); da menzionare anche la più che riuscita “Wedding Song No. 3” dall’EP “M Is…” sempre del 1997 (“Wedding Song No. 3” sarà oggetto di remix su “Post Global Music” del 1999 disco su cui sono presenti i compositi 18:57 di “Attention Span Deficit Disorder Disruption”).

Ed a nome Aerial M è stato dato alle stampe “The Peel Sessions” (Drag City), contenente la sessione di registrazioni effettuate il 4 febbraio del 1998 per lo “show” di John Peel, trasmesse per la prima volta il 3 marzo del 1998; con David Pajo alla chitarra e al pianoforte sono Tony Bailey alla batteria, Cassie Marrett al basso e Tim Furnish alla chitarra.

Il disco è composto tra tre brani “Skrag Theme” (da “Aerial M” del 1997), “Vivea” (dal 7″ “October” del 1998) e “Safeless” (comparso sulla raccolta “Hole Of Burning Alms” a nome Papa M).

Già vedendo il minutaggio dei brani e l’anno di registrazione, l’ascolto sembra essere più che promettente ed effettivamente non delude affatto.

La bella “Skrag Theme”, infatti, è estesa a 13:00 in cui viene esasperata la tensione che assume toni più claustrofobici rispetto alla versione “madre” oltre a subire (più) nette scomposizioni, fratture e cacofonie.

Esatta è anche “Vivea” nel suo pregevole incedere di chitarre, sebbene priva della breve coda sperimentale.

Chiude nel migliore dei modi “The Peel Sessions”, la riuscita “Safeless”, anch’essa “dilatata” e portata 12:00 minuti, carica di maggior pathos, perfetta nel suo tema e nei suoi cambi di registro, nelle sue ossessioni di chitarra, nelle sue estese abrasioni.

Per completezza espositiva va detto che Pajo, come solista (sia come Papa M che anche a nome Pajo), a partire dal 2000, si è dedicato, con diversi dischi ed EP, a un più “accomodante” e meno segnante cantautorato indie-folk”; per tutti a nome Papa M del 2001 sia il buon “Whatever, Mortal” (in cui emergono la desertica “Over Jordan”, l’elettrica “Beloved Woman”, la più indie “Krusty”, la particolare e “sacrale” “The Lass Of Roch Royal”, l’allucinata “Sabodage” con tanto di finale “rāga”… ) che il riuscito e marcatamente indie “Songs Of Mac” (composto dalle sole “So Warped”, accreditata a Aubrey Rozier e “The Person And The Skeleton”, accreditata a Mac Finley), per poi tornare a “sperimentare” prima con il meno ispirato, elettrico e a tratti aspro e disorganico “Highway Songs” del 2016 (gratuiti appaiono brani come “The Love Particle”, “Coda”, “Green Holler” …, distanti dalle passate poetiche brani come “Adore, a Jar”, “DLVD”…, non alla sua “portata” brani come “Bloom”) e poi con l’“acustico”, introverso e godibile “A Broke Moon Rises” del 2018 (da citare la mesta “Walt’s”, “A Lighthouse Reverie” – nella cui prima parte tornano i richiami a Steve Reich e anche a Robert Fripp -, la lunga e rarefatta “Spiegel Im Spiegel”).

Del 2024 è, infine, il 7″ in cui Pajo e Mike Watt si scambiano a vicenda i ruoli di “autore” e di “esecutore” per i piacevoli “Long May You Burn” e “Fireman Hurley”.

https://www.facebook.com/DavidPajoOfficial/

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